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La mia famiglia a soqquadro

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VOTO: 4.5

L’eccezione che non fa eccezione

Soqquadro: l’unica parola italiana a contenere la doppia “q”. Un’eccezione all’interno della nostra bella lingua. Partendo, dunque, da questo vocabolo sui generis, è la storia di un’altra eccezione quella che Max Nardari ha voluto raccontarci nel suo secondo lungometraggio, La mia famiglia a soqquadro, appunto, ispirato al libro “Figli violati”, scritto da Renea Rocchino Nardari, madre del regista.
La storia di un’eccezione che, però, nell’ambito del panorama cinematografico attuale, non riesce di certo a “fare eccezione”, confondendosi, al contrario, nella miriade di commedie tutte uguali l’una all’altra che, pur raccontando di volta in volta la stessa storia, hanno la pretesa di proclamare per prime verità assolute, universali e “rivoluzionarie”. All’interno di un palinsesto che neanche un mese prima ha visto l’uscita di un lungometraggio come il già di per sé deludente Mamma o papà?, diretto da Riccardo Milani, dove già si è parlato del tema della separazione tra genitori, insieme a La verità, vi spiego, sull’amore, di Max Croci, in uscita  poche settimane dopo, poche speranze ha di distinguersi un prodotto trattante il medesimo tema. A meno che non si tratti, ovviamente, di un film come Una separazione di Asghar Farhadi, ma non è questo il caso.
Anche se inizialmente, quindi, può farci simpatia Martino (interpretato dal giovane Gabriele Caprio) – figlio undicenne appartenente alla classica famiglia del Mulino Bianco, emarginato a scuola perché considerato “diverso”, in quanto unico ragazzino con i genitori ancora uniti, che, però, al fine di integrarsi, farà di tutto affinché il suo nucleo famigliare si spacchi in due – una volta entrati nel vivo della vicenda ed aver assistito alla presentazioni di personaggi e situazioni talmente stereotipati da sembrare addirittura irreali, ecco che, di punto in bianco, la storia inizia a perdere di ogni qualsivoglia interesse. Uno stereotipo dopo l’altro, una carrellata di luoghi comuni e buonismi di ogni genere, che culminano in un finale – che vede il giovane protagonista fare il suo discorso d’effetto, volto a chiarire qualsiasi equivoco e a riportare l’armonia in casa – ambientato, guarda caso, durante il periodo pre-natalizio. E chi più ne ha più ne metta.
Eppure, ripensando alle iniziali intenzioni dell’autore ed alla genesi del lungometraggio stesso, non si può non riconoscere una certa ingenuità ed anche una sorta di genuinità che manca, di fatto, alle sopra citate commedie – tutte nate da grandi produzioni. Il fatto di aver scelto di adattare per il grande schermo un libro scritto dalla propria madre e di averlo fatto con la propria casa di produzione, in realtà fa quasi tenerezza. Ed ecco che iniziamo a considerare La mia famiglia a soqquadro più come una specie di goliardata in famiglia che come un qualcosa che vuole definirsi a tutti i costi “il prodotto dell’anno”. E così iniziamo a “perdonare” tutti gli stereotipi presenti, gli attori eccessivamente sopra le righe, la disarmante prevedibilità della trama e via dicendo. Sul fatto che il lungometraggio di Nardari possa riuscire a fare o meno eccezione all’interno del palinsesto, però, vi sono ancora parecchie perplessità, per non dire addirittura scetticismi. Ma sta bene. Contenti loro, contenti tutti.

Marina Pavido

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