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La Macchina Umana

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VOTO: 7.5

Umano non umano

Presentato in anteprima nazionale al MAXXI fra le Risonanze della Festa del Cinema di Roma 2017, riproposto poi con successo a Trieste nel corso di Science + Fiction, La Macchina Umana è un cortometraggio che si stacca felicemente dalla restante produzione italiana, per vari motivi. Già la confezione visiva così curata è un biglietto da visita quantomeno insolito. Ma poi è il particolare rapporto che si crea con un determinato immaginario distopico/fantascientifico nel corso del racconto, attraverso tocchi minimali ma di grande pregnanza semantica, a fare la differenza, riuscendo a ipotizzare un immediato futuro carico di inquietudini partendo proprio da quelle incertezze, di ordine emotivo, che caratterizzano il nostro presente.

Ciò non ci sorprende più di tanto considerando che l’autore del corto, Adelmo Togliani, in quella sua poliedrica attività di interprete e di regista esercitata su svariati fronti, qualità del genere le aveva già messe in mostra; per esempio ne L’uomo volante, un’altra breve narrazione cinematografica, datata 2014, di cui ci aveva ugualmente colpito la capacità di vivificare frammenti di un immaginario generazionale condiviso, con toni apparentemente leggeri, ma dotati in realtà di un certo spessore.
Tornando a La Macchina Umana, è lo stesso Togliani (che oltre ad impersonare il protagonista firma qui sceneggiatura e regia, quest’ultima a quattro mani con Simone Siragusano) colui che interpreta Stefano, la cui complessa vita sentimentale è oggetto di un prolungato dialogo col suo analista, interpretato a sua volta da Gianni Franco. Sin dall’inizio vi è qualcosa che non quadra. La facilità con cui Stefano ha messo su un’articolata rete di relazioni, spesso effimere, con altre donne, nel suo essere meno appagante di quanto si sarebbe portati a pensare va ben oltre le suggestioni iniziali, che potrebbero rimandare a Søren Kierkegaard come anche a certe opere di Truffaut. Quello che in un clima di apparente frivolezza va a delinearsi è più che altro (parafrasando Bauman) un panorama di “amore liquido”, in sintonia con quanto la società odierna ci mette a disposizione. E l’attrazione più forte nei confronti di Gaia (una seducente e magnetica Valentina Corti) sembra farsi ugualmente carico di qualche stonatura. Il twist successivo rivelerà una delle possibili ragioni: la natura di Stefano non è del tutto umana, anzi, lo stesso rapporto con l’analista è parte di un ardito esperimento che intende metterne alla prova le embrionali reazioni emotive…
Ma a quel punto il cortometraggio, rispetto ad altri lavori cinematografici incentrati su androidi e intelligenze artificiali, prende una piega che non ti aspetti: il protagonista sceglierà di far evolvere la propria coscienza emotiva o, piuttosto, di lasciarla regredire a uno stadio inferiore e con minori responsabilità verso il genere umano?

Ben raccontato e con un’anima tutta da esplorare, il cortometraggio di Adelmo Togliani ha forse il suo punto debole in quel taglio narrativo, conferito al montaggio, che a volte velocizza un po’ troppo i passaggi dalla seduta psicanalitica ai frammenti di vita del personaggio. Ma ciò che può rappresentare un piccolo elemento di fragilità, nel rapido susseguirsi delle scene, conferisce comunque alla narrazione uno spigliato dinamismo, che, pur lasciando all’umanità (indiscutibile epicentro tematico) dei personaggi il tempo di manifestarsi, assicura anche un timbro sottilmente straniante alle parabole sentimentali e non, ivi espresse. La conturbante distopia che ne deriva può poi vantare nel finale secco e spiazzante un ulteriore momento di crescita, che rende la visione de La Macchina Umana sapida e di sicuro in grado di generare empatia, assieme ad interrogativi di natura più personale.

Stefano Coccia

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