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La lucida follia di Marco Ferreri

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VOTO: 6.5

Storia di Marco

Con un curriculum festivaliero e un palmares di tutto rispetto, che può contare su una première alla 74esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica (sezione “Venezia Classici”) e due premi di prestigio come il David di Donatello e il Nastro d’Argento in bacheca, La lucida follia di Marco Ferreri è approdato in quel di Bari per inaugurare la personale che la nona edizione del Bif&st ha voluto dedicare al cineasta milanese. Retrospettiva, questa, che oltre ai film da lui firmati ha presentato al pubblico della kermesse pugliese anche una serie di documentari che ne raccontano la figura dentro e fuori dal set. Tra questi c’è quello scritto e diretto da Anselma Dell’Olio che, dopo una lunghissima carriera giornalistica, ha deciso di misurarsi con la regia, come negli ultimi anni hanno scelto di fare molti altri colleghi.
Quello della Dell’Olio è senza dubbio il ritratto più esaustivo tra quelli ad oggi realizzati, poiché alla pari di una radiografia scandaglia a 360° il suo cinema e la sua umanità, riuscendo ad andare oltre quello che undici anni or sono Mario Canale e Maite Carpio hanno consegnato allo schermo con i rispetti lavori. Con Irriverente Ferreri, ad esempio, Maite Carpio ha raccontato dell’amicizia tra lo sceneggiatore spagnolo Rafael Azcona e il regista meneghino. Un’amicizia umana e professionale che ha messo insieme due menti fervide, che hanno consegnato dei grandi capolavori al cinema mondiale. Canale, al contrario, con Marco Ferreri, il regista che venne dal futuro non ha circoscritto ma ha allargato lo spettro della narrazione esplorando la biografia del regista rimanendo però in superficie e privilegiando l’elemento professionale.
La lucida follia di Marco Ferreri, pur con qualche soluzione tecnica a nostro avviso evitabile (i poco eleganti tagli sull’asse nelle interviste e il cambiamento dei fondali nelle stesse come nel caso degli interventi di Benigni) e avvalendosi di una struttura architettonica narrativa e stilistica comune e ormai ampiamente codificata nel filone documentaristico biografico, offre alla platea un buon equilibrio tra la dimensione pubblica e quella privata, con l’una che per forza di cose finisce con il confluire e mescolarsi senza soluzione di continuità nell’altra (e viceversa). Questo perché si tratta di due dimensioni che nel caso di Marco Ferreri non possono e non devono essere scisse. Il palleggiare in un battito di frame tra le due componenti consente all’opera di restituire le due facce della stessa medaglia, utile al potenziale fruitore per entrare a contatto con entrambe. Ne viene fuori un prodotto audiovisivo che ha l’importanza e il valore di una testimonianza storica, di quelli necessarie a tenere viva nel tempo la memoria del regista e non solo delle sue creazioni.
Il merito della Dell’Olio sta proprio nell’avere trasformato questa esigenza di conoscere e fare riconoscere le opere quanto il pensiero di chi le ha firmate il cuore pulsante dell’operazione. In questa direzione, l’autrice ha dato ampio spazio proprio a Ferreri che qui racconta e si racconta grazie al potere dell’immortalità insito nel materiale di repertorio. Ascoltiamo il controverso regista riflettere sulla nomea di “provocatore” che l’ha sempre seguito, perennemente accompagnato da censure, scandali, accuse velenose. Significativo, in tal senso, il passaggio che rievoca le contestazioni successive alla presentazione de La grande abbuffata in quel di Cannes nel 1973). Il tutto accompagnato da un coro greco di voci presenti e passate che si alternano davanti la macchina da presa (da Ornella Muti a Sergio Castellitto, da Isabelle Hupperta Roberto Benigni, passando per Hanna Schygulla, Andréa Ferréol e Dante Ferretti) per argomentare sul Ferreri uomo e regista, sui temi e gli stilemi che lo hanno contraddistinto nell’Olimpo della Settima Arte, in un viaggio orale e visivo che, tra scene dei suo film (da La grande abbuffata a Storia di Piera, passando per Chiedo Asilo, Ciao maschio e Dillinger è morto), backstage e interviste ci trascina, per mano alla scoperta di chi a pieno diritto è entrato a fare parte integrante della grande epopea del cinema italiano e non solo. E ci è entrato dalla porta principale lasciando un segno indelebile e scavando un solco profondo grazie al suo modo di vivere e pensare la Settima Arte, che era e resterà unico.

Francesco Del Grosso

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