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La ligne

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VOTO: 7.5

Sinfonie d’inverno

Tre sorelle molto diverse tra loro. Una madre che, di fatto, non ha mai saputo fare la madre. Un rigido divieto da rispettare. Una famiglia in cui i rapporti interpersonali sono sempre stati complicati. In La ligne, presentato in concorso alla 72° edizione del Festival di Berlino, la celebre cineasta svizzera Ursula Meier si è cimentata con un tema assai complesso e delicato. Un tema che ha spesso esercitato il proprio fascino su registi di tutto il mondo, ma che, purtroppo, può facilmente dar adito a pericolose banalità e luoghi comuni. Questo, fortunatamente, non è tuttavia il caso di La ligne, che forte di una sceneggiatura robusta e di un importante simbolismo ha ulteriormente confermato la grande sensibilità della regista di Besançon nel mettere in scena in modo attento e intelligente importanti drammi umani.

La storia messa in scena, dunque, è quella di Margaret (impersonata da un’ottima Stéphanie Blanchoud), una ragazza estremamente vulnerabile, spesso soggetta ad attacchi d’ira. Un giorno, dopo un violento litigio, la ragazza aggredisce sua madre Christina (Valeria Bruni Tedeschi), la quale, cadendo, sbatte la testa e perde parzialmente l’udito. In seguito a tale avvenimento, alla ragazza verrà imposto dal giudice di osservare un periodo di distanziamento da casa sua: in poche parole, dovrà mantenere una distanza di almeno cento metri dall’abitazione della sua famiglia. Le uniche ad avere contatti con lei in questo momento saranno le sue sorelle Marion (timida e religiosa adolescente, a cui Margaret continuerà a dare lezioni di canto) e Louise, prossima a diventare madre di due gemelline.
Una famiglia tutta al femminile, dunque, per una storia famigliare decisamente complessa. A fare da protagonista assoluta: l’incomunicabilità tra i vari membri della famiglia. Incomunicabilità dovuta alle tante, troppe cose non dette, incomunicabilità data dall’improvvisa perdita dell’udito della madre – un tempo stimata pianista – che spesso non può (o non vuole?) sentire quello che le figlie hanno da dirle, incomunicabilità rappresentata dalla stessa linea blu che la giovane Marion disegna a cento metri da casa sua, in modo da indicare a Margaret fino a dove può fermarsi per incontrarla durante le lezioni di canto. Tale linea blu, dunque, ha praticamente l’effetto di un muro: solo chi vuol davvero comprendere l’altro ha la capacità di vedere attraverso di esso. A completare il tutto: le alte montagne che circondano il villaggio in cui abitano le protagoniste, quasi come se volessero dare l’idea di un piccolo mondo a sé.
Ursula Meier ha prestato la massima attenzione a ogni dettaglio. Nulla è lasciato al caso in La ligne. Persino la componente musicale ha qui una valenza fortemente simbolica: soltanto attraverso la musica le quattro donne riescono, in qualche modo, a sentirsi vicine l’un l’altra. Ma, allo stesso tempo, anche a causa della musica nascono aspri conflitti. Ed ecco che immediatamente pensiamo al bellissimo Sinfonia d’autunno, diretto dal grande Ingmar Bergman nel 1978 e con protagoniste Ingrid Bergman e Liv Ullmann. Anche qui madre e figlia sono legate da un rapporto in cui troppe cose non sono state chiarite. Anche qui, come nel caso di Margaret, abbiamo una figlia da sempre incompresa e aspramente criticata, che tanto, troppo ha sofferto a causa dell’egocentrismo di sua madre. L’immagine delle due, che, pur trovandosi l’una di fronte all’altra, non riescono a parlarsi, per poi finire addirittura a darsi le spalle, parla chiaro. E fa male come un pugno allo stomaco.

Marina Pavido

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