Quando si ama il Cinema… e non solo
«Presented in cinemascope» e in un battito di ciglia, si passa dal b/n all’allargamento di formato e al colore. Come non amare sin dai primissimi minuti La La Land diretto da Damien Chazelle e scelto come film d’apertura della 73esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Si può omaggiare profondamente il Cinema solo amandolo altrettanto intensamente e, certo, al contempo, sapendolo fare e il regista americano questo lo sa e lo trasmette benissimo.
Si parte con un piano sequenza sull’autostrada in California, con le auto impantanate nel traffico. L’obiettivo, a un tratto, si sofferma, in particolare, su una macchina da cui esce una ragazza vestita in stile Anni ’50 (un abito giallo a pois bianchi con la inferiore pronta all’uso per la ruota durante le coreografie) che dà il via alla scena vera e propria da musical. Tra ballerini danzanti da una capotta all’altra e parole e note che iniziano a raccontare il desiderio dei “riflettori”, veniamo introdotti alle vicende specifiche dei due protagonisti.
Com’è spesso dei classici e nel nostro immaginario, le più grandi storie d’amore nascono dallo scontro o da un’apparente antipatia ed è ciò che accade tra Mia e Sebastian. Lei (Emma Stone) è un’aspirante attrice che per vivere fa la cassiera nel bar degli Studios; lui (Ryan Gosling) è un musicista jazz che digerisce mal volentieri i piano bar, ma li frequenta per sopravvivere. Dopo alcuni incontri per i cosiddetti scherzi del destino, in una bellissima e romantica scena scatta la scintilla (per quanto cantino esattamente il contrario, quasi a sottolineare ancor più come gli “opposti” si attraggano). Si crea fra i due quella complicità che tutti sognano quando si pensa all’incontro con l’uomo o la donna della propria vita. Mia e Sebastian si ascoltano, comprendono le aspirazioni reciproche fino a sostenersi e incoraggiarsi in un modo che solo chi sogna ardentemente qualcosa sa fare. C’è un momento, però, in cui il rapporto viene messo in discussione. Nigel (Stanley Tucci) de Il diavolo veste Prada docet: «Fammi sapere quando la tua vita va in pezzi, vuol dire che stai per ricevere una promozione».
Va da sé che non vogliamo rivelarvi come si evolverà il percorso di questa coppia e quello individuale dei due protagonisti, ma non possiamo esimerci dall’evidenziare come La La Land riesca a coinvolgere lo spettatore dal primo all’ultimo minuto in un vortice di emozioni che abbraccia i cinefili e i romanticoni.
Sia che sia presente sottotraccia come uno spirito che aleggia sui personaggi di questa storia, sia che venga suggerito anche nei minimi dettagli (vedi l’arredamento della stanza di Mia, da Ingrid Bergman alle varie locandine persino nella sala living), ogni fotogramma di La La Land parla di cinema, oltre a esserlo. «Sai cosa vuol dire vivere in un sogno? Ciò che tu non sei, sei: e, ogni notte, lo frequenti» scriveva Pier Paolo Pasolini in “Orgia”. Ecco i nostri protagonisti non sanno fino in fondo cosa voglia dire la vita che desiderano, ma sperano di frequentarla, giorno e notte, e non solo nella propria mente. Basta che Mia veda un’attrice nota mentre è alla cassa che comincia a sognare ad oggi aperti, astraendosi da quell’usurante o quantomeno abitudinaria quotidianità. Sebastian, dal canto suo, non è da meno, ancorato alla tradizione e a un’idea di jazz classico d’altri tempi, ma è proprio questa nostalgia, così pura e non fine a se stessa, a muoverli e ad unirli.
Vedere il driver di Drive di Refn in queste vesti leggere con doti di ballerino e canore fa un certo effetto. Questo lui ben si sposa con l’interpretazione di Emma Stone, dolce, goffa, ma anche determinata. Entrambi regalano ai loro personaggi un che di genuino mixato con punte in cui si sente che stanno recitando, ma quest’ultimo non è un difetto. A nostro parere fa proprio parte della quadratura del cerchio. Nell’ottica di un omaggio al cinema che è stato si punta sui propri mezzi espressivi, dichiarandolo senza esser pretenziosi di sostituirsi o ancor peggio scimmiottando le celebrity di allora.
Chazelle ci aveva già conquistati con Whiplash, con La La Land si conferma un regista che sa far volteggiare fluidamente la macchina da presa e, parallelamente, affondarla nel tempo (inteso sia come tuffo nella storia del cinema, che per le stagioni della vita e dell’amore che si susseguono) così come nei cuori. Non è un caso che al suo terzo lungometraggio, per quanto cambi genere, il regista di Guy and Madeline on a Park Bench (Premio speciale della Giuria al Festival di Torino nel 2009) dimostra ancora il suo background e senz’altro l’amore per la musica e, nello specifico, il jazz (non dimentichiamoci l’importanza storica de Il cantante di jazz del 1927). Mia e Sebastian nel loro viaggio di scontro tra sogno e realtà constatano come i locali che facevano arte pura o, come si suol dire, d’autore, chiudano e s’interrogano su quel mito di Hollywwod così coltivato e alimentato. «Il sole è quasi tramontato» recita il verso di una canzone scritta appositamente per il lungometraggio e inserita all’interno di una scena molto sognante, eppure a posteriori verrebbe da ricollegarla con questa battuta «questa è Los Angeles, il luogo dove venerano tutto, ma non danno valore a niente». Con tatto e acutezza Chazelle lancia delle frecciate anche sull’immagine che tutti noi abbiamo di quel mondo, sfiorando anche le contraddizioni di Hollywood, senza mettere, però, troppa carne al fuoco.
Mentre si assiste alla visione di La La Land tornano in mente Fred Astaire, Ginger Rogers, Gene Kelly e tutti i musical partoriti dalla creatività di Vincente Minnelli. Al di là di citazioni più o meno esplicite e dell’atmosfera da musical (anche tecnicamente parlando, con l’utilizzo di mascherini e grafiche che richiamano le pellicole di allora), La La Land è un musical moderno che guarda ai classici del genere, ma con un’affezione pura, rendendosi gradevole anche al pubblico di oggi (il merito va pure al giusto equilibrio tra le parti cantate-ballate e quelle solamente recitate). In poco più di due ore ci si ritrova a sorridere, commuoversi e a battere i piedi sotto la poltroncina a suon di tip tap. Si viaggia nel tempo e in sentimenti forti, ci si alza in volo nel cielo sfavillante per poi provare il bianco più accecante per una vera e propria immersione in un cinema che è stato, ma che può, a suo modo, ancora essere. «I film sono il linguaggio dei nostri sogni» ha affermato Chazelle in conferenza stampa ed è proprio nella Settima Arte che è “lecito” usare dei metodi che violano le regole della realtà per viaggiare. Questo fa La La Land. Non resta che «brindare ai suonatori per quanto folli possano sembrare. Un pizzico di follia è la chiave che può mostrarci nuove sfumature».
Maria Lucia Tangorra