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La casa di famiglia

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VOTO: 5

Parenti serpenti

La famiglia, si sa, è sempre la famiglia. Nel bene o nel male. Allo stesso modo, i famigliari sono persone che ci accompagnano per tutta la vita e con le quali, in un modo o nell’altro, si avrà sempre a che fare. Non di rado, dunque, soprattutto tra fratelli, vengono fuori screzi di ogni genere. Se poi le questioni riguardano patrimoni di famiglia, la situazione si fa ancora più spinosa. Questo, almeno è ciò che accade in La casa di famiglia, opera prima di Augusto Fornari, che, appunto, ci narra le vicende di quattro fratelli ormai adulti, invischiati in una situazione in cui nessuno vorrebbe mai trovarsi.
È questa la storia di Alex, Oreste, Giacinto e Fanny, i quali, dando il loro padre ormai per spacciato, poiché in coma da cinque anni, decidono di vendere la casa di famiglia. Pochi giorni dopo l’atto di vendita, però, l’uomo si risveglia miracolosamente e, in breve tempo, viene dimesso dall’ospedale. I quattro dovranno inventarsi a tutti i costi una soluzione, affinché il genitore non si accorga della verità.
Partendo da questi presupposti, le basi per una divertente e brillante commedia degli equivoci ci sono tutti. E, di fatto, fin dalle prime scene viene dato al lungometraggio quasi un tocco da commediola francese dei giorni nostri, garbato, talvolta con trovate interessanti ed una fotografia che, a tratti, assume dei toni pastello. Interessante come incipit, senza dubbio. Il problema principale, però, è che, nel corso dello svolgimento, il prodotto non riesce a decollare in alcun modo. Malgrado le scene di pseudo tensione emotiva, malgrado situazioni equivoche che riescono a strappare qualche risata di quando in quando, La casa di famiglia, di fatto, il cosiddetto salto non riesce a spiccarlo mai. Colpa, in questo caso, proprio dello script: non sono pochi gli elementi che, nel corso della vicenda, vengono abbandonati e lasciati cadere nel vuoto, così come accade assai frequentemente che conflitti che avrebbero meritato uno sviluppo ben più approfondito, vengono frettolosamente risolti da veri e propri deus ex machina. Il personaggio del medico, ad esempio, è una delle tante trovate inizialmente interessanti, ma che poi, di punto in bianco, non viene più ripresa. Stesso discorso vale per quanto riguarda i problemi che i quattro fratelli hanno con l’acquirente della casa – nonché spasimante da tempo immemore di Fanny – o con lo stesso padre: il tutto viene risolto senza mai un reale picco emotivo o una crisi. Si ha quasi l’impressione che un lavoro del genere, data la sua impostazione, forse avrebbe reso meglio come mediometraggio, con una struttura più semplice, ma con trovate simili per quanto riguarda i ribaltamenti finali. Ma ovviamente, queste sono solo supposizioni.
Eppure, La casa di famiglia, qualche elemento interessante ce l’ha. Alcune gag o espedienti comici, in realtà funzionano eccome, anche senza dover ricorrere per forza di cose a luoghi comuni o volgarità, come spesso accade. Ben riuscito, ad esempio, è il colloquio tra i quattro fratelli ed alcuni pazienti dell’ospedale affacciati alle finestre, o l’idea di mettere una parrucca in testa ad un busto in marmo di Mussolini, facendo credere all’anziano genitore che si tratti del busto di Mozart che da anni era situato sopra il pianoforte di casa. Peccato, dunque, per la scarsa riuscita di un lavoro che di certo, dalla sua ha il fatto di non essere né furbo (in senso cattivo) né tantomeno ruffiano e di non volersi presentare come il grande capolavoro dei nostri giorni. Staremo a vedere come se la caverà il regista con la sua opera seconda.

Marina Pavido

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