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La caméra de Claire

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VOTO: 7.5

Vento di Rohmer

Ci si ritrova presto dentro, e si è subito fuori. È l’ironico sunto adatto per descrivere l’esperienza cinematografica che ci donano i sessantanove minuti di La caméra de Claire di Hong Sang-soo, visti al Cineuropa Compostela 2017. Una manciata di minuti, sufficienti per classificarlo come lungometraggio, in cui pare non succeda nulla, mentre si segue la storia e/o le storie dei personaggi, e poi si esce dalla fulminea visione appagati nel aver assistito a un dolce evento visivo, pieno di accadimenti, e in cui tutti gli elementi erano ben inseriti nello svolgimento.

Hong Sang-soo, uno dei maggiori autori sudcoreani, molto presente nei festival internazionali, ma sfortunatamente per nulla visibile nelle sale italiane (In Another Country è un lontanissimo ricordo), con La caméra de Claire persegue il suo stile e porta avanti i suoi temi, però con questa pellicola si approssima e rende omaggio al cinema francese e il leggero tocco che vi aleggia dentro. Le scene, girate tutte attraverso lunghi piani sequenza, sono quiete, impalpabili, leggiadre. Ma all’interno di ogni immagine spira una perturbazione. Il vento che soffia a Cannes, città in cui è ambienta la pellicola, smuove i vestiti, i personaggi, e soprattutto i loro pensieri e le loro parole. Un vento sbarazzino, come certificano le inquadrature sulla palma o la boa ondeggianti che aprono due differenti piani sequenza con i personaggi che discutono dello scompiglio emotivo che li attanaglia.
Seppure di origine coreana e con attori dai tratti somatici marcatamente orientali, sembra di assistere a un perfetto calco di un film di Eric Rohmer, in cui i verbosi discorsi tra i personaggi, quasi sempre messi in coppie e in cui prevale il femminino (il cast principale è composto da tre donne e un uomo), sono racchiusi in una scelta di ripresa semplice e veloce. Non sarebbe stato errato intitolarlo Les rende-vous de Cannes (parafrasi del titolo originale di Incontri a Parigi). La semplicità delle riprese, seppure girate con diversi ciak, sono Sang-soo un modo per ricercare la schiettezza della realtà quotidiana, seppure sia tutta finzione cinematografica. La volontà di una “purezza” nella finzione è marcata anche dal suono tutto in presa diretta, in cui molti rumori della città “entrano” nelle scene, coprendo i dialoghi dei personaggi, che si muovono nella reale scenografia della città.
È proprio la ricerca di un’onestà visiva e narrativa quello che forgia la pellicola. In una scena, una collega dice alla protagonista Manhee che il regista Sang-soo ha voluto realizzare un film onesto, che riflettesse la realtà. Ed ecco che l’In-joke verbale spiega bene l’intento vero del regista Hong Sang-soo. E in questa leggera attuazione sudcoreana in terra francese, torna un altro tema caro a Eric Rohmer: la casualità. I personaggi s’incontrano casualmente, attraverso circostanze semplici e quotidiane. E l’incontro genera lunghe disquisizioni sulla vita, l’amore, il lavoro, il futuro… e le incertezze. E in questo momento di sospensione finzione/realtà, il personaggio di Claire, interpretato da Isabelle Huppert, figura femminina cinematografica del miglior cinema francese, diviene una “turista” che fotografa quello che accade davanti a lei. Con la sua macchina fotografica immortala i volti dei personaggi che incontra, e sentenzia filosoficamente che la persona cambia dopo lo scatto di una foto. E i personaggi di La camera de Claire effettivamente cambiano atteggiamento e modo di porsi dopo esser stati immortalati dalla (video)camera di Hong Sang-soo. La giovane Manhee, di scena in scena, matura nel – breve – percorso narrativo.

Roberto Baldassarre

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