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Knocking

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VOTO: 6.5

Rumori molesti

Dopo un tragico incidente, Molly si trasferisce in un nuovo appartamento, ma strani rumori e urla provenienti dal piano di sopra iniziano a spaventarla. Quando la donna si accorge che nessuno è disposto a crederle e aiutarla, il confine tra incubo e realtà diventa sempre più labile. Nelle poche righe di sinossi che accompagnano Knocking, adattamento cinematografico del racconto breve omonimo di una trentina di pagine firmato da Johan Theorin dal quale Frida Kempff ha tratto la sua opera prima, sono rintracciabili in maniera chiara e distinta tutti gli ingredienti che la vanno a comporre. Ingredienti che hanno dato forma e sostanza narrativa e drammaturgica, oltre che un’identità di genere, a un prodotto indipendente girato in meno di tre settimane che è stato protagonista di una serie di tappe in prestigiose vetrine del circuito festivaliero dedicate al cinema fanta-horror come il Sundance, il Sitges, il Neuchâtel International Fantastic Film Festival e il Fantasy Filmfest, ai quali si va ad aggiungere la recente apparizione in concorso alla 42esima edizione del Fantafestival.
La cineasta svedese, qui al suo esordio sulla lunga distanza dopo avere diretto diversi cortometraggi e documentari pluridecorati tra cui Bathing Mickey, Circles e Winter Buoy, si affida alle poche pagine del racconto di Theorin per portare sul grande schermo un mix di thriller e horror psicologici che strizza l’occhio e attinge, per stessa ammissione dell’autrice, tanto dal Polanski della “trilogia dell’appartamento” quanto dalle atmosfere lynchiane. Il tutto rielaborato e riproposto dal punto di vista e in chiave femminile, con un vortice di traumi e ossessioni (a cominciare dalla macchia sul soffitto che riporta al supernatural horror Dark Water di Hideo Nakata) che generano un incubo ad occhi aperti dove la soglia tra l’immaginifico e la realtà si va via sempre più assottigliando con lo scorrere dei minuti. Per l’intera durata lo spettatore si ritrova sballottato tra la mente della protagonista e le mura del suo appartamento di pochi metri quadri. Ed è in questi due spazi che si consuma l’odissea umana di Molly, labirinti mnemonici e luoghi claustrofobici che danno un senso di alienazione persistente.
La Kempff mette in comunicazione questi luoghi fisici e mentali trasformando la casa in uno specchio che riflette in maniera distorta le alterazioni psicologiche del personaggio principale, seguendo passo dopo passo la graduale caduta nel baratro della follia. Per farlo la regista si affida alla bravura dell’attrice Cecilia Milocco, che offre il suo meglio nella potentissima scena della crisi isterica sul pianerottolo, ma soprattutto al lavoro del sound design e della macchina da presa attraverso l’uso continuo di focali grandangolari spinte che combinati generano disturbanti distorsioni audio e sonore. Con e attraverso di queste Knocking restituisce la giusta dose di paranoia, che cresce mano a mano che l’ondata di calore che ha travolto la città si fa sempre più insostenibile per la già precaria condizione mentale della protagonista. Peccato solo che tutto questo non basti ad aumentare in maniera esponenziale la tensione e l’inquietudine, fattori determinanti per alzare l’asticella di pellicole come queste. Motivo per cui quella firmata dalla regista scandinava si arresta poco sopra la sufficienza.

Francesco Del Grosso

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