La taumaturgica recita dell’inferno
Il Giappone è notoriamente il paese dove la tecnologia più avanzata va a braccetto con la tradizione; in Kiraigō. Il villaggio dove vivono Buddha e i demoni, presentato nella sezione Ottobre Giapponese della 18a edizione del Ravenna Nightmare Film Fest, i registi Murayama Masami, Kataoka Nozomi e Inoue Minoru, ci raccontano una di queste tradizioni ancora vive.
Il Kiraigō, o la ‘Recita dell’inferno’, è una rappresentazione sacra di storie di demoni e di salvezza, la cui tradizione getta le sue radici all’inizio dell’epoca Kamakura, tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, come rito esorcistico per la protezione dai disastri naturali e dalle guerre civili. Oggi, le rappresentazioni hanno luogo il 16 agosto, durante la festività di Obon, quando tornano le anime dei defunti, solamente nel piccolo villaggio rurale di Mushō (letteralmente ‘lasciar vivere gli insetti’), nella provincia di Chiba; qui, l’arte teatrale in maschera del Kiraigō viene tramandata di generazione in generazione, mentre agli abitanti originari si sono uniti i rispettivi coniugi provenienti da altri villaggi, a formare una comunità di 25 famiglie unita nel rispetto della Tradizione e di tutti gli aspetti della vita. E la tradizione del Kiraigō a Mushō non si è mai fermata, neppure durante la Seconda Guerra Mondiale o dopo il tifone del 1971; inizialmente rappresentata nella Jizo Hall del tempio Kosaiji, in seguito al tifone che l’ha distrutta viene montato ogni anno un palco nello stesso luogo, dove i demoni e il salvifico Jizo Bosatsu possono incontrarsi.
La recita dell’inferno, oggi, viene rappresentata in 4 atti. Nel primo, il re degli inferi, Enma, giudica i morti, le cui azioni compiute in vita, buone e cattive, vengono lette dallo scriba Gushojin. Quindi, se l’anima è peccatrice, la strega demone insieme ai demoni, rosso e nero, la porta via. Nel secondo atto, siamo a Sai No Kawara, dove vanno le anime dei bambini dopo la morte. I bambini, colpevoli di esser morti troppo giovani e di non aver quindi accudito i genitori, sono condannati a raccogliere pietre lungo il fiume; ma il salvifico Jizo lo salva. Nel terzo atto, vediamo il calderone dell’inferno, dove vengono bollite vive le anime. Nel quarto ed ultimo, si raggiunge il climax dello spettacolo, annunciato dal suono dei piatti buddisti. Siamo alla montagna della morte, dove l’anima peccatrice, dopo esser stata costretta a mangiare una ciotola di riso in fiamme, viene fatta salire; qui, circondata dai demoni, viene torturata. Ma arriva il bodhisattva Kannon, che la libera e la porta nella terra pura, lasciandosi alle spalle una tavoletta funeraria.
Il documentario Kiraigō. Il villaggio dove vivono Buddha e i demoni, girato con eleganza e devozione, ci mostra come siano ancora vivi in Giappone il culto delle anime dei morti, il mito di paradiso ed inferno, e soprattutto la tradizione, portata avanti lungo le generazioni per mezzo di rappresentazioni sacre e l’uso di maschere. La maschera, infatti, largamente utilizzata anche nel teatro Nō, ha una funzione mediatrice, può incarnare entità superiori e costituisce un punto dove il Mito e la Storia si incontrano; ma ha anche la funzione di richiamare le anime dei morti sulla Terra. Nel giorno di Obon, si celebrano i defunti; il Kiraigō li porta sul palcoscenico, insieme ai demoni ed ai bodhisattva, affinché le anime vengano salvate e si esorcizzino le paure dei vivi.
Michela Aloisi