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Kerr

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VOTO: 7

Crepe che si allargano a dismisura

Come crepe destinate ad allargarsi ogni giorno di più, in Kerr di Tayfun Pirselimoğlu le buche presenti nella cittadina che fa da sfondo al racconto continuano a diffondersi ovunque, compaiono nei posti più impensabili, si allargano fino a diventare voragini. E, dato ancor più inquietante, se uno si ferma a guardarci dentro sembrano estendersi all’infinito. Veri e propri pozzi senza fondo.
Non male come metafora. E volendo lo si può considerare anche un elegante MacGuffin, teso a rifrangere quel senso di spaesamento profondo – sì, profondo almeno quanto i buchi per terra – che accomuna lo spettatore ignaro a un protagonista sempre più preoccupato, confuso, durante le sue peregrinazioni in un villaggio natale dal quale si era assentato anni prima e che sembrerebbe essere sprofondato (quasi letteralmente, verrebbe da dire) nell’insensatezza più totale. Difatti oltre alle buche non si fa attendere qualche altra surreale minaccia, per esempio quei cani randagi di cui si favoleggia tanto in città e che hanno spinto le autorità ad imporre una sorta di lockdown (la metafora qui tende ad allargarsi) con tanto di uomini armati in strada, per difendere un nuovo status quo tale da rammentare l’applicazione della legge marziale.

Per farla breve, non sorprende che un lungometraggio come Kerr provenga proprio dalla Turchia. Laddove un determinato assetto socio-politico può suggerire queste e altre inquietudini. C’è anche dell’altro, però, nel film di Tayfun Pirselimoğlu, meritato Premio della Critica al Ravenna Nightmare 2022. Raffinato noir, intrigo kafkiano dalle tante sfaccettature, questo oggetto filmico enigmatico e labirintico apre molteplici strade all’interpretazione, prendendo le mosse da un assurdo, inspiegabile (o più semplicemente inspiegato) delitto del quale il protagonista Can risulta essere l’unico testimone, per evolversi poi in direzione di un apologo dai contorni dostoevskiani e per qualche verso anche nietzschiani: del resto l’autore stesso nel Q&A ravennate è tornato più di una volta sul concetto di “eterno ritorno”. Stilisticamente curato in ogni singola inquadratura e filosoficamente gravido di riflessioni, Kerr riflette bene sia la maturità registica che gli orizzonti creativi verso cui tende un cineasta dal bagaglio culturale indubbiamente ampio, che ci ha tenuto peraltro a ricordare i positivi contatti avuti in precedenza con l’Italia, nel suo percorso professionale.

Stefano Coccia

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