La scalata, dalla parte di facchini e portatori
La qualità già mediamente alta dei documentari presentati quest’anno ad Asiatica Film Mediale ha trovato forse il suo picco (termine quanto mai appropriato, visto l’argomento che andremo ora a introdurre) in K2 and the Invisible Footmen, un lavoro cinematografico che Lara Lee, film-maker da sempre attenta al sociale, ha realizzato portando a termine uno sforzo encomiabile sia dal punto di vista etico che da quello squisitamente tecnico, logistico.
Le didascalie e le immagini iniziali trascinano immediatamente lo spettatore alle pendici del K2, per un viaggio che avrà poi risvolti inaspettati. Non sarà infatti il ruolo dei grandi scalatori internazionali a costituire l’oggetto di tale ricerca. Un po’ come nelle opere documentarie di Michael Glawogger, il grande cineasta austriaco recentemente scomparso, l’asse del racconto è spostato con decisione dalla parte degli ultimi della Terra, delle vittime della globalizzazione, di coloro che le leggi del mercato hanno relegato a compiere lavori di grande fatica, talvolta anche rischiosi, per il proverbiale tozzo di pane. Tali soggetti sono nella fattispecie i facchini, i portatori che in Pakistan accompagnano scalatori europei, americani, giapponesi e di altri paesi industrializzati nelle prime fasi della difficile conquista del K2, impresa molto ambita ma che nel corso degli anni ha prodotto decine di morti.
È un po’ come se Everest, il pur dignitoso e avvincente blockbuster in 3D diretto dall’islandese Baltasar Kormákur, trovasse qui il suo ideale controcampo, e non soltanto per la differente vetta in cui è ambientata la storia: nel prodotto hollywoodiano da noi citato sono i destini dei (più o meno) ricchi alpinisti occidentali al centro della scena, mentre questo non meno appassionante documentario ci fa conoscere da vicino le vite, le facce, le fatiche, di quei poveri e oltremodo resistenti lavoratori asiatici che mettono a repentaglio le proprie vite non per la gloria sportiva, ma per mantenere se stessi e la famiglia.
Eppure, in K2 and the Invisible Footmen c’è spazio per raccontare anche delle più recenti spedizioni organizzate per portare sulla cima del monte, il secondo in altezza tra i celebri “8000”, alcuni di quegli scalatori pakistani posti fino ad allora al servizio di altri; ed è interessante che in buona parte i finanziatori di simili imprese, quasi a ripagare un debito storico, siano stati italiani, così come italiani furono i primi alpinisti a raggiungere, il 31 luglio 1954, la vetta di questa montagna del Karakorum mai violata prima: parliamo ovviamente di Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, due componenti della spedizione italiana guidata allora da Ardito Desio.
Detto questo, risulta evidente che a Lara Lee, cineasta brasiliana di origini coreane che ad Asiatica Film Mediale si è intrattenuta a lungo a parlare col pubblico, non interessasse tanto comunicare i contorni epici e avventurosi di tutte queste vicende, quanto piuttosto i risvolti umani, l’impatto a livello sociale, gli aspetti che insomma vengono ritenuti generalmente meno appetibili dai mass media. Ed è proprio questo ritratto controcorrente, profondamente umanista, di una popolazione pakistana troppo spesso identificata quale focolaio di fondamentalismi religiosi e poco altro, a rendere ancora più lodevole l’intera operazione; un’operazione cinematografica che, peraltro, si avvale di alcune riprese in quota davvero meravigliose e per niente facili da girare. Complimenti alla troupe anche per questo. E non a caso i titoli di coda del film sono “scortati” fino alla fine da preziose immagini del backstage, in cui a essere celebrato è l’utilizzo di droni, teleobiettivi e altri strumenti di ripresa, senz’altro complessi da gestire ad altitudini superiori ai 5000 metri.
Stefano Coccia