Juliette l’eroina
L’inferno (pre)adolescenziale era già stato immortalato in Welcome to the Dollhouse (Fuga dalla scuola media, 1995) di Todd Solondz, e (intra)visto in una miriade di pellicole sparse nei diversi decenni cinematografici. Che fossero opere serie o prodotti demenziali (o semplicemente di livello demente), la descrizione di quella fascia d’età batteva sempre sullo stesso punto: è un periodo maledettamente difficile, soprattutto se si ha la sfortuna di essere brutti e sgraziati (o peggio ritardati). Jeune Juliette, presentato al festival #Cineuropa33, da questo punto di vista non aggiunge nulla di nuovo a quanto detto, anzi, ha molti (troppi?) punti in comune con la pellicola di Solondz, che non solo aveva sintetizzato bene quel discorso, ma lo aveva raccontato con ottimi toni caustici. Senza dimenticare che la riuscita di Fuga dalla scuola media era anche merito della bravura della giovanissima esordiente Heather Matarazzo. Ugualmente, Jeune Juliette, nemmeno si potrebbe prendere come una necessaria e ironica disamina incentrata su questa tematica. Quindi, che valore ha quest’opera in fin de conti poco originale?
In un’intervista l’autrice Anne Émond ha citato come fonti d’ispirazione – veri colpi di fulmine cinefili per lei – L’effróntée (L’effróntée – Sarà perché ti amo, 1985) di Claude Miller e Breakfast Club (1985) di John Hughes. Due pellicole agli antipodi nell’approccio cine-narrativo intorno alla tematica adolescenziale, ma ambedue ottime descrizioni del disagio che si può provare in quella fascia d’età, soprattutto dentro la bolgia di un ambiente scolastico. Tra le due, la pellicola più prossima a Jeune Juliette, almeno nel ritmo, è Breakfast Club, che viene citata in modo evidente nella scena finale. Benché la Émond non citi la pellicola di Solondz, non va escluso che l’abbia perlomeno vista – e forse apprezzata –, anche perché la regista, quando il film fu distribuito nel 1995, era adolescente (classe 1982). Tolti questi rimandi cinefili, diretti o indiretti, quello che ci viene rivelato dalla medesima intervista è l’aspetto semiautobiografico da cui attinge il racconto. Sceneggiata dalla stessa Émond, la pellicola raccoglie quei soprusi (l’autrice era “grassottella”) e quelle sensazioni (la scoperta di se stessi, quando si entra nella pubertà) che aveva vissuto da adolescente. Nel raccontare quel mondo affrontato con inquietudine, però, la Émond non ambienta la storia in quegli anni Novanta che ha conosciuto, ma la colloca nel mondo di oggi, come se volesse dimostrare che queste problematiche (adolescenza + ambiente scolastico) sono ancora attuali. L’alter ego Juliette, sognatrice e dall’animo poetico, benché perennemente attaccata dai volgari insulti dei suoi coetanei, è a suo modo un’eroina – come testimonia anche il manifesto – perché fronteggia queste dure avversità con forza d’animo, sperando in un domani migliore (andare a New York o avere un futuro dorato). Inoltre, in questo percorso di formazione, capirà anche qual è il vero senso dell’amicizia, cioè che non c’è la necessità di circondarsi di persone fighe nel muoversi ma mediocri nel profondo. Jeune Juliette, sebbene aggiunga veramente poco a quanto già detto in altre precedenti pellicole, inserendo anche una convenzionale parte familiare, ha comunque il merito di essere briosa nella regia e di avere gustosi momenti spumeggianti grazie al buon terzetto di attori infanti.
Roberto Baldassarre