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Jess & James

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VOTO: 6.5

Un viaggio chiamato amore

Prendete le gioventù bruciate di Gus Van Sant, il sesso ribelle di Bruce La Bruce e le corse in macchina di The Living End di Gregg Araki, mescolate bene e vedrete scorrere davanti ai vostri occhi un cocktail cinematografico dal titolo Jess & James. A portarlo sul grande schermo Santiago Giralt, da anni considerato tra le figure di spicco della scena culturale argentina, che proprio con la sua ultima fatica dietro la macchina da presa approda in quel di Milano per aprire in anteprima europea la 29esima edizione del Festival MIX.
La pellicola scritta e diretta da regista sudamericano ha, infatti, nella propensione genetica pluri-citazionista, che scatena nella mente del cinefilo più attento un turbinio inarrestabile di reminder e dejà vu, quel limite che impedisce all’opera di spiccare definitivamente il volo. Volontari o no, i suddetti riferimenti provocano una sorta di cortocircuito drammaturgico nello script, quel tanto che impedisce all’originalità di potenziali situazioni di emergere. Ciò finisce con l’imbrigliare la scrittura e  depotenziarla, quanto basta a mettere in evidenza più quello che scaturisce dalle fonti d’ispirazione che quello che Giralt “partorisce” dalla propria autorialità. Uno scoglio, questo, che purtroppo l’operazione non riesce ad arginare nell’arco dei novanta minuti circa messi a disposizione dalla timeline. Il continuo rifarsi al cinema dei suddetti colleghi, magari inconsciamente, sottrae al film l’opportunità di scegliere quale strada percorrere e di personalizzarla. Ci si imbatte di conseguenza in un plot che mette insieme suggestioni e cose già viste, che assemblate come in un “puzzle audiovisivo” danno vita al classico road movie generazionale che sembra non avere o volere una meta. Prologo ed epilogo circoscrivono una struttura a capitoli che scandisce le tappe di un viaggio su quattro ruote di una coppia di amanti persa tra le strade della pampas argentina. Ne scaturisce una sorta di romanzo di formazione alimentato da amore, amicizia e sesso, che coinvolge chi insegue l’identità sessuale e chi la vuole scoprire. Tra menage a trois, incontri insoliti e bollenti rapporti bucolici, si dipana un racconto che vive di sussulti e che appassiona lo spettatore solo a tratti. Un racconto che non ha paura di mostrare (il lungo rapporto anale ambientato nella camera da letto del trans), nemmeno di provocare i ben pensanti (il rapporto sessuale nella chiesa), ma che purtroppo fa fatica a staccarsi da certi stereotipi legati all’omosessualità.
Si nota, però, un potenziale di originalità intrinseco, ma soprattutto un desiderio forte di sprigionarlo che si dimena come un animale chiuso in gabbia che cerca libertà, la stessa che al contrario scaturisce dal modo in cui Giralt mette in quadro le pagine dello script. Lampi di poesia (la scena della laguna di notte) e valzer di corpi che si intrecciano tra amplessi violenti e dolci rappresentano la cartina tornasole di quello che Jess & James sarebbe potuto essere e invece non è stato, ossia un film anarchico. La libertà della macchina da presa fatta librare sporca come un aquilone al vento è solo un esempio di quella ricerca formale che il cineasta argentino insegue sin dagli esordi Las Hermanas L. o Toda la gente sola.

Francesco Del Grosso  

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1 COMMENT

  1. Sì, posso essere abbastanza d’accordo. Ma la fotografia è spettacolare, come i costumi e gli attori. Basterebbero questi 3 elementi, il primo su tutti, per non perdere questo film.

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