Avrei voluto essere Tarkovskij
Accade, talvolta, che opere cinematografiche abbiano il merito e la fortuna di “nascere” al momento giusto, riuscendo per questo ad ottenere allori che forse non avrebbero meritato del tutto in un altro periodo. January dell’esperto regista lettone (classe 1972) Viesturs Kairišs, trionfatore multiplo del concorso Progressive Cinema alla Festa del Cinema di Roma 2022, rientra probabilmente in questa particolare categoria.
Bastano alcuni cenni sulla trama, per comprendere appieno il senso di tale premessa. January, infatti, sposta le lancette del tempo diegetico fino al gennaio (ecco motivato il titolo del film) 1991. Un momento fatidico in cui le attuali repubbliche baltiche Lettonia e Lituania cercano l’indipendenza dalla Grande Madre Unione Sovietica, ormai sull’orlo del disfacimento. Una lotta strenua che esigerà un pesante tributo di sangue da versare. Questo lo sfondo storico di January, su cui si innesta in primo piano il racconto di formazione – in buona parte autobiografico, dato che il giovane protagonista Jazis (un convincente Karlis Arnolds Avots, premiato come miglior interprete alla kermesse romana), ha la medesima età del regista ed è un aspirante filmmaker – del personaggio principale. Una dinamica narrativa che rappresenta il punto debole del film, dato che si adagia su binari piuttosto convenzionali. Nel tumultuoso mese del titolo Jazis, accompagnato dalla fedele cinepresa regalatagli dal padre, conoscerà l’asprezza della vita attraverso gli ultimi e pericolosi colpi di coda del regime sovietico agonizzante; incontrerà per la prima volta amore e sesso grazie alla conoscenza della collega cinefila Anna. Infine assaporerà il dolceamaro retrogusto della vita vissuta, mediante le illusioni e le conseguenti delusioni che gli si pareranno davanti.
Messo in scena in una modalità che ricorda sia la mitica Nouvelle Vague che il miglior cinema indipendente americano capitanato da Jim Jarmusch, January, se da un lato eccede in citazionismo, dall’altro mantiene sufficientemente alto quel grado di sincerità indispensabile a creare empatia con le spettatore. L’età acerba di Jazis viene descritta in modo accurato: un giovane con i suoi sogni, le sue insicurezze, i suoi dubbi tra servire militarmente l?Unione Sovietica – il padre di Jazis è un fedele comunista, anche se le apparenze spesso possono ingannare – e unirsi invece alle rischiose lotte per l’indipendenza lettone. January, pur nella sua articolata messa in scena che è valsa a Viesturs Kairišs anche il premio alla regia (davvero troppa grazia!), veicola in fondo un messaggio certamente universale nella propria semplicità: accettarsi per ciò che si è, senza eccedere in aspettative di impossibile realizzazione. Vivere giorno dopo giorno provando ad assimilare tutte le esperienza che si ha la fortuna di provare. E soprattutto comprendere, a proposito di momenti giusti, quando arriva il tempo di operare delle scelte fondamentali, quelle che determinano la crescita o meno dell’individuo e dalle quali diventa poi difficile tornare indietro.
January finisce dunque con l’essere un lungometraggio che irradia i suoi riflessi sul fosco presente, con una guerra in Ucraina che già si presenta lunga e tragicamente improba da affrontare per la popolazione civile. Con il pensiero – ed il rimpianto – che corre ai giovani come Jazis di entrambi gli schieramenti, chiamati a combattere in un conflitto che nessuno di loro vorrebbe. Solamente se osservato sotto questo punto di vista January diventa un’opera, se non pienamente riuscita, di certo “necessaria” nel senso più completo del termine.
Daniele De Angelis