Crescere, che fatica!
Si è da poco conclusa la XX edizione del Milano Film Festival e tra alcuni film in Concorso che ci hanno colpito in particolar modo ci sono stati TransFatty Lives di Patrick O’Brien e James White di Josh Mond. In questo pezzo vogliamo parlarvi di quest’ultimo, ma ad accomunare le due pellicole c’è un tema di fondo, la malattia, e un approccio diverso nell’affrontarla, oltre che prospettive differenti e generi diversi – il primo è un documentario, il secondo è un lavoro di fiction. Alla sua opera prima, Mond sceglie di affrontare un argomento senz’altro molto frequentato, ma che sortisce un risultato originale grazie in primis all’ottima interpretazione del protagonista Christopher Abbott. Conosciuto per la serie tv Girls, qui riesce ad emergere in tutte le sue corde drammatiche senza mai andare sopra le righe. Sin dai primi minuti, l’attore trasmette una forte intensità di sguardo che il regista esalta con i primi piani, una cifra che tornerà nel corso della pellicola e che soprattutto chiuderà, quasi come un ciclo vitale simbolico, la stessa. James White è un coming of age di un ragazzo, però, non più adolescente. Parte con un fatto: la morte del padre di James e lo spettatore pensa che sarà questo a smuovere qualcosa, vista anche la famiglia allargata e il rapporto complesso e talvolta inesistente col genitore. Intuiamo, però, un legame fortissimo con sua madre (Cynthia Nixon), anche molto protettivo che, a sua volta, lo fa sentire al sicuro; sì perché l’uomo vorrebbe non spezzare quel cordone ombelicale per quella paura di crescere e prendersi le responsabilità dell’età adulta e, al contempo, il timore di tirar fuori tutto ciò che ha dentro. Come spesso si narra nei cosiddetti romanzi di formazione, un viaggio sembra essere l’occasione per mettersi in discussione, tanto che dice a sua madre: «quando tornerò sarò pronto per la vita» e le promette che lì, in Messico, metterà nero su bianco i suoi pensieri. Qui il plot, per ciò che accade – molto dal sapore di movida – sembra volerci far virare verso altri lidi, ma il richiamo della realtà, della vita vera porterà James a farci i conti. La malattia di sua madre lo farà smarrire, come iniziare a perdere uno dei punti fondamentali di riferimento già in vita e lasciar spazio ai «demoni interiori».
Il pubblico entra in empatia con James, merito sia della sceneggiatura che di chi ne dà corpo e volto (straordinaria anche la Nixon per il suo realismo) senza che si (s)cada nella retorica – rischio sempre dietro l’angolo tanto più quando si tratta certi argomenti. Ed è così che James White, dopo aver catalizzato gli spettatori del Sundance e del Festival del Film di Locarno, ha conquistato anche quelli milanesi facendo risvegliare anche molte paure che attraversano ognuno di noi, dalla perdita di un proprio caro all’ansia del lanciarsi nel vortice della vita, capace di risucchiarti fin quando non si comprende quantomeno come rimanere a galla.
Maria Lucia Tangorra