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Iris

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VOTO: 6.5

Avete visto mia moglie?

Chi aveva ipotizzato una fine per la prolifica stagione dei remake di pellicole made in Oriente da parte di produzioni occidentali, in particolare da quella a stelle e strisce, dovrà suo malgrado fare un passo indietro e accettare una potenziale e possibile ripresa. Restringendo il campo ai rifacimenti degli ormai arcinoti nipponici The Ring, Dark Water, The Grudge e Premonition, ai quali si va ad aggiungere anche qualche ripescaggio nelle cinematografie limitrofe come The Uninvited (dal sudcoreano Two Sisters di Ji-woon Kim) e The Eye (dall’omonimo film made in Hong Kong diretto da Oxide e Danny Pang), gran parte dei grandi successi dell’ultimo ventennio appartenenti al genere horror made in Asia hanno avuto una seconda vita grazie o a causa (a seconda dei punti di vista) dei fumanti dollari americani. Insomma, ci si era trovati al cospetto di quella che sembrava essere diventata una vera e propria moda del momento, con uno tsunami di rifacimenti che si era andato a riversare nell’arco di una manciata di anni sugli schermi di mezzo mondo.
Al tempo, l’oggetto delle attenzioni più forti da parte delle major americane fu la filmografia di Hideo Nakata, nello specifico alcuni J-Horror da lui firmati. Un’attenzione, questa, che a quanto pare non è mai cessata veramente, semmai si era affievolita, visto che c’è chi, a distanza di sedici anni, ha voluto riesumare un altro suo cavallo di battaglia, stavolta di matrice thriller-noir, ossia Chaos. Quel qualcuno è Jalil Lespert, pluri-premiato e apprezzato esponente del panorama attoriale francese, che per la sua quarta fatica dietro la macchina da presa dal titolo Iris ha scelto di puntare proprio sulla pellicola del cineasta giapponese. E come se non bastasse nelle duplice veste di regista e di co-protagonista nei panni di del ricco e potente banchiere Antoine Doriot. L’uomo è reduce da un pranzo in un ristorante con la moglie Iris che scompare misteriosamente mentre lui stava pagando il conto. Gli viene chiesto un riscatto piuttosto cospicuo che accetta di consegnare, sotto la sorveglianza della detective della polizia Nathalie Vasseur, presso una stazione ferroviaria. Ma Iris non c’è. In precedenza Max, un meccanico divorziato con un figlio e divorato dai debiti, aveva ricevuto una telefonata da Iris che gli proponeva di partecipare a un finto rapimento. Ma niente va come previsto. Max trova Iris morta e ora è in un mare di guai. Tormentato dai dubbi e perseguitato dagli investigatori, l’unico modo per uscirne è prendere la situazione in mano e cercare di capire cosa sia realmente successo alla donna.
Chi ha già avuto a che fare con l’originale del 2000 ne conoscerà gli sviluppi e l’epilogo, di conseguenza dovrà limitarsi a giudicare l’operato di Lespert dietro a davanti la macchina da presa, magari constatando con i propri occhi, in occasione della  prima apparizione pubblica in Italia nel concorso della 26esima edizione del Noir in Festival (prossimamente sarà disponibile su Netflix), quanto di personale l’attore e regista francese ha voluto e potuto mettere in questo remake. Al contrario, chi è completamente a digiuno potrà gustarne il riuscito intreccio mistery che in Iris è rimasto, come le atmosfere, i personaggi e lo stile, praticamente inalterato, a differenza dello spostamento della vicenda da Tokyo a una Parigi ferita dai recenti attacchi terroristici. Un cambiamento, questo, che per quanto ci riguarda non ha intaccato o spostato gli equilibri drammaturgici dello script, anche perché trattasi di una storia che può trovare una collocazione in una qualsiasi metropoli. Il ricorso ad archetipi (femme fatale compresa, come era stato anche per il Black Dahlia di De Palma) ed elementi basilari del noir e del thriller, infatti, rende quanto già presente in Chaos facilmente adattabile e plasmabile in altri contesti e latitudini, per cui la scelta di spostare il tutto nella capitale francese è stata indolore.
Già l’originale si era dimostrato un discreto meccanismo a incastro, scandito nel suo percorso narrativo di graduale svelamento della verità da una serie di riusciti twist, capaci di cambiare continuamente le carte in tavola, rovesciando i pronostici e stravolgendo il fronte tra il bene e il male, tra vincitori e venti. In tal senso, la completa assenza di morale e l’impossibilità di collocare con esattezza i personaggi in uno dei due fronti, sono gli aspetti che più ci colpirono del film del 2000 e che con piacere abbiamo ritrovato anche in quello del 2016. In Iris, Lespert ne replica quasi fedelmente schemi, temi (tra cui il doppio) e modus operandi, proprio per non rischiare di perdere il motore portante che aveva decretato il successo del film di Nakata. Il focus quindi continua ad essere la vendetta, ma anche il valzer di passione, sottomissione, potere, denaro e sesso (nelle sue diverse forme), con il quale si alimenta la vicenda. Nel remake ritroviamo saggiamente tutto questo, perché il venire meno di uno solo di questi ingredienti avrebbe potuto rovinare la ricetta. Anche l’apporto attoriale qui ha un peso specifico non indifferente, con il regista francese che dimostra di non ritenerlo, alla pari di molti suoi colleghi, come una componente secondaria da utilizzare più o meno con la giusta attenzione in un film di genere. In Iris, le performance di Romain Duris, Charlotte Le Bon e dello stesso Jalil Lespert, sono curate e partecipi, forse perché quest’ultimo da attore ha avuto la possibilità di lavorare con grandissimi registi che lo hanno ben indirizzato. Inevitabile, ma non scontato, che avesse la stessa attenzione tutte le volte che si è andato a sedere dietro la macchina da presa. Lo testimonia il precedente Yves Saint Laurent.

Francesco Del Grosso

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