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Ira

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VOTO: 7

Così come la vita si può essere teneri e crudeli

Un ragazzo incontra una ragazza. Si piacciono, vogliono stare insieme. Devono superare le difficoltà che la vita può mettere loro davanti.
Un incipit davvero semplice per un film come Ira, nato, secondo le parole dello stesso regista: “senza nessuna idea, tantomeno una sceneggiatura”. Con uno spirito che ci sembra affine a quello dei neorealisti italiani, in particolare De Sica e Zavattini, ideatore quest’ultimo del metodo di ripresa del “pedinamento”, il regista salernitano Mauro Russo Rouge, qui anche sceneggiatore, mette in scena una storia minima. Una storia come tante se ne possono udire al mondo, ambientata in una città come tante se ne possono vedere al mondo. E allora perché la pellicola risulta tanto interessante da vedersi tutta d’un fiato? Perché si tratta di cinema, ed il cinema è per sua natura in grado di creare la malia del racconto partendo da uno spunto minimo. Andatevi a rivedere la scena de Gli ultimi fuochi (The Last Tycoon, 1976) nel quale Robert De Niro si esibisce in un monologo da accademia per spiegare al pomposo scrittore come funzioni il racconto cinematografico.
Rouge sembra avere ben chiaro in mente tutto ciò. Mettendosi dunque alle calcagna dei suoi protagonisti, secondo la lezione di Zavattini, li lascia agire rimanendo sempre un passo indietro, delegando al flusso di immagini il compito di fornire un significato che sarà lo spettatore a dover cogliere. Non è un film che lasci tranquilli e passivi davanti allo schermo, richiama invece ad una partecipazione intellettuale ed emotiva del pubblico, il quale viene quasi costretto ad immergersi in questa storia tenera e crudele.
In ciò si può anche intravvedere una tendenza al cinema connotativo messo a punto dai cineasti russi negli anni Venti del Novecento. Un cinema nel quale lo spettatore era chiamato attivamente in causa per dare un senso alle immagini che scorrevano sullo schermo.
Appare altresì interessante la scelta di inquadrare solo raramente in volto i protagonisti, quasi a non volerli identificare come individui particolari ma archetipi, figure rappresentative di una universalità nella quale chiunque si possa riconoscere.
Forse inconsapevolmente dunque Rouge mette in scena un discorso di grande respiro che abbraccia temi grandi e alti: ricerca dell’amore, ricerca della felicità e ira. Ira per la paura, ira per la frustrazione, ira per l’umiliazione. È questo il sentimento che sembra prevalere ed ammantare tutto il racconto, sentimento dal quale i protagonisti provano a fuggire grazie al legame che nasce tra loro ma che finisce per risucchiarli proprio tramite quel medesimo legame. Ira dunque anche come spinta per difendere quel poco di felicità che possiamo trovare.
In questa storia minima eppur gigantesca, nella quale le parole hanno un ruolo tanto marginale, e sono le immagini a narrare, ognuno può vedervi la propria storia, minima eppur gigantesca, dipende da come la si guardi,e sentirsene pertanto coinvolto e complice.

Luca Bovio

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