La genesi di un corto sorprendente come Sexy Shopping, raccontata dai due autori
Così come un nobile spettro si aggirava (o si aggira?) un tempo per l’Europa, ad aggirarsi ora per le vie di Bologna è un ambulante bengalese con nella testa qualche idea fantasiosa per vendere i suoi prodotti e parecchia intraprendenza, ma al quale non mancano certo i classici problemi che tanti altri immigrati, nelle sue condizioni, devono quotidianamente affrontare. Tra improvvisati siparietti umoristici e folate di malinconia, dovute anche a una compagna di vita e ad un figlio rimasti a vivere lontano, girare lungo i portici bolognesi insieme a un personaggio così espansivo e al tempo stesso così serio, genuino, sincero, è un’esperienza che andava fatta: per fortuna a mettere in pratica tale idea sono stati due cineasti come Antonio Benedetto e Adam Selo, che in Sexy Shopping non si sono limitati a restituire con giusta empatia le peregrinazioni serali e lo stile di vita del soggetto in questione, ma lo hanno fatto sperimentando opportunamente sul linguaggio cinematografico.
Nel loro piccolo film le ragioni della fiction e quelle del documentario vengono a sovrapporsi di continuo, dando vita a una formula originale, il cui valore non è sfuggito ad esempio ai giurati del Figari Film Fest: in terra sarda Sexy Shopping ha ottenuto una meritata Menzione Speciale per la Sceneggiatura. Ed è sempre a Golfo Aranci, in una di quelle situazioni informali e conviviali cui il festival ci ha ormai abituato, che è iniziata la nostra conversazione con gli autori, ponendo così le basi dell’intervista che andrete ora a leggere.
D: Allora, parliamo di Sexy Shopping.
Potreste dirci innanzitutto come è avvenuto l’incontro con il protagonista del vostro film, il venditore bengalese Miah Shajhan?
Antonio Benedetto: L’incontro è avvenuto in strada, dove Miah lavora abitualmente di notte, uno dei tanti immigrati che si ritrovano a vendere fiori e cianfrusaglie di ogni genere. Ci si vedeva spesso, io a bere birra con gli amici e lui a girovagare per guadagnarsi da vivere. Miah è decisamente un personaggio fuori dal comune, che mi ha colpito subito per la simpatia, l’intraprendenza e la capacità di catturare l’attenzione. Io sono stato sempre attratto dai personaggi particolari, capaci di stimolare la mia fantasia. Da qui la voglia di conoscerlo meglio per scoprire tutto il suo potenziale fino alla nascita di un’amicizia..
D: Avrei ora una serie di punti da approfondire, per entrare nel vivo del discorso. In Sexy Shopping le ragioni del documentario si intrecciano con un approccio insolito, pronto a inglobare elementi diversi, di natura più affine alla fiction. Quando vi siete decisi ad adottare una forma così ibrida? E come avete voluto relazionarvi allo spettatore, alle domande che egli inevitabilmente si pone, rispetto agli incontri effettuati in strada da Miah Shajhan?
Andando ancora più in profondità, si nota che l’uso della soggettiva, combinato a punti di vista differenti, sembra dare il senso alle vostre riprese. Cosa potete dirci a riguardo? E cosa vi ha colpito dei frammenti di vita sociale bolognese, catturati girovagando assieme a Miah Shajhan?
Adam Selo: A tutto questo vorrei rispondere io.
Era da tempo che volevo sperimentare uno stile che mischiasse i linguaggi del documentario, del mockumentary (finto documentario) e della fiction. Quando Antonio mi ha raccontato questa storia di vita ho subito pensato che potesse essere l’occasione giusta, così in fase di scrittura ho proposto ad Antonio di rinunciare ad una scrittura classica di docu-fiction, mostrando solo le avventure del nostro protagonista, e di inserire delle immagini riprese dal reale attraverso l’utilizzo di una camera nascosta, che avrebbe ripreso le vere reazioni dei clienti di Miah. Attorno a queste scene abbiamo costruito una struttura che rispondeva ai canoni narrativi della fiction, in modo che i dialoghi veri, reali, andassero a costituire i dialoghi della sceneggiatura: la realtà al servizio della narrazione. In questo modo lo spettatore ha modo di specchiarsi sia nelle reazioni dei clienti, così vere così reali, sia nelle vicende del nostro protagonista, danzando tra diversi punti di vista, quello dei registi, quello del protagonista, quello di Beauty (la moglie che riceve il videomessaggio, che è la referente principale del film) e quello dei clienti.
Ciò che maggiormente ci ha colpito osservando i comportamenti dei “bolognesi” (che fondamentalmente siamo noi ogni giorno e ogni sera) a contatto con Miah, è quanto possa essere pesante e fastidiosa l’indifferenza delle persone, che spesso nemmeno si degnano di dare un’occhiata a ciò che propone il nostro protagonista, un’indifferenza che ferisce più di quanto possa fare qualsiasi rifiuto secco. Colpisce anche lo stupore della gente nell’apprendere della regolare partita IVA di Miah, come se la legalità e l’immigrazione non possano coesistere nella stessa storia o vicenda personale.
D: Più in generale, pescando sia tra le problematiche serie e pressanti con cui deve confrontarsi un immigrato nel nostro paese, sia nel disagio generazionale di italiani più o meno giovani amareggiati dalla crisi economica, cosa pensate del quadro sociale che emerge dal vostro lavoro?
Antonio Benedetto: Ci rendiamo conto di aver toccato un tema molto delicato, di non facile approccio. La crisi, il disagio e tante difficoltà vengono vissute contemporaneamente, ogni giorno, da immigrati e connazionali, con il rischio dello scontro e del conflitto. Entrano in gioco anche altre emozioni umane e naturali, come la paura e la diffidenza verso il diverso, che appartengono a tutti noi e che è giusto affrontare per elaborarle e superarle. Alla luce delle critiche e dei riconoscimenti che ci arrivano dai vari festival italiani e ormai anche stranieri, possiamo affermare con un pizzico di orgoglio di aver dato vita ad un lavoro filmico in grado di rappresentare un quadro sociale molto vero, intimo e allo stesso tempo ironico, nel tentativo di non banalizzare aspetti relazionali molto delicati.
D: Quanto è stato utile alla riuscita del corto il carattere così comunicativo, spigliato e in grado di adattarsi alle circostanze, che il bengalese Miah Shajhan esibisce nel relazionarsi con gli altri?
Antonio Benedetto: Miah è stato davvero un bravo attore, sia nelle scene di fiction, nonostante fosse la sua prima volta davanti ad una macchina da presa, sia nelle scene di strada, dove molto dipendeva dalla sua capacità di improvvisazione e di adattamento, confermando le spiccate abilità relazionali che avevamo notato e ci avevano dato spunto per un film.
D: Tra gli elementi più paradossali del racconto vi sono l’apertura di una partita IVA da parte del venditore ambulante, così come la multa spropositata a lui comminata dai vigili, per un lieve sconfinamento di zona. Sembrerebbe che abbiate voluto dare un certo peso a tali episodi, in qualche misura emblematici. E’ così?
Antonio Benedetto: Gli elementi paradossali del racconto che hai citato sono episodi e fatti realmente accaduti che abbiamo inserito nella fiction del nostro lavoro. Volevamo raccontare l’ingiustizia e le difficoltà di una delle tante storie umane che ogni giorno provano a regolarizzarsi e ad integrarsi nel nostro paese, con un linguaggio nuovo e in grado di non scadere nella retorica e nei banali cliché ai quali si è esposti quando ci si imbatte in temi delicati, come quelli affrontati da Sexy Shopping. Crediamo di esserci riusciti mescolando i generi del documentario e della fiction, ed affiancando a questi il registro della commedia. L’ironia dello script, associata alla simpatia e alla bravura dell’attore, ci hanno consentito di stemperare i toni e di creare più empatia con lo spettatore. In ultimo, l’idea registica di Adam di inserire una camera nascosta direttamente sul personaggio, è risultata davvero vincente e ha contribuito a dare originalità al prodotto filmico.
D: Avete già collaborato altre volte, Adam e Antonio, oppure si tratta del primo lavoro che realizzate insieme?
Adam Selo: Io e Antonio avevamo già collaborato in precedenza, quando Antonio mi propose un’ambiziosa sceneggiatura da produrre. Provammo a trovare i fondi necessari, ma senza riuscire ad ottenerli. Quella sceneggiatura è ancora viva, seppur modificata, e pronta per essere girata.
Antonio Benedetto: C’era stato un primo approccio in passato, quando proposi ad Adam e alla EleNfant la sceneggiatura di Vendesi, un lavoro che non venne mai realizzato, come spesso accade, per problemi di budget. Dopo qualche anno è arrivata l’idea di Sexy Shopping, che siamo riusciti a realizzare assieme unendo le forze economiche, intellettuali e creative.
D: Cosa pensate della Menzione Speciale per la Sceneggiatura attribuita a Sexy Shopping in Sardegna, nonché dell’accoglienza che il Figari Film Fest ha riservato a voi e al vostro film?
Antonio Benedetto: Il Figari Film Fest ci ha regalato forti emozioni. Oltre all’opportunità di vivere un’esperienza unica, nella cornice davvero suggestiva di Golfo Aranci in Sardegna, dove abbiamo incontrato gente molto interessante del settore con la quale confrontarci, la grande soddisfazione è stata la menzione speciale per la sceneggiatura che ci ha inorgogliti, in quanto ha premiato in qualche modo il nostro lavoro sperimentale in termini di rappresentazione filmica, dandoci anche nuovi stimoli per lavori futuri.
Abbiamo inoltre avuto la possibilità di visionare alcuni tra i migliori lavori in circolazione, al momento, nella categoria cortometraggi.
In ultimo, la recente partecipazione all’Hollyshorts Film Festival di Hollywood ci ha dato altro coraggio, nonché le ultime convocazioni da festival stranieri, quali Aesthetica Short Film Festival (ASFF) di York (UK) e l’International Film Festival of the “ânûû-rû âboro” people in Nuova Caledonia…
Adam Selo: Siamo davvero contenti per la menzione speciale alla sceneggiatura ottenuta al Figari Film Festival. Premiare la sceneggiatura di questo lavoro vuol dire aver accolto ed apprezzato la nostra proposta di nuovo linguaggio narrativo. Il Figari è un festival davvero splendido, che fa di tutto per far sentire gli autori a proprio agio e farli interagire creando una rete tra loro. In questo ambiente, in una splendida cornice, è semplice creare nuove collaborazioni, nonché amicizie.
D: Ad Adam Selo vorremmo chiedere infine qualcosa sul suo rapporto di collaborazione con Henry Fanfan Latulyp, per il cortometraggio Fate come foste a casa vostra.
Adam Selo: Di Fate come a casa vostra sono producer e attore co-protagonista. Da anni lavoro con Henry, che con la EleNfant Film ha potuto sviluppare diverse abilità, dalla tecnica di ripresa, al montaggio. Fate come a casa vostra è la sua opera prima da regista e per me è stato un onore produrla. Ciò ha significato rimanere a stretto contatto con Henry dalla fase di sceneggiatura, visto che da subito si è stabilita anche la mia presenza nel cast.
Stefano Coccia