A proposito dei tuffatori di Mostar
Presentato nel Premio Corso Salani durante la 32esima edizione del Trieste Film Festival, il documentario di Daniele Babbo ci ha stregato con le immagini dello Stari Most e incuriosito con tutte quelle storie, che gravitano intorno alla Mostar post-bellica. Senz’altro un valido motivo, per approfondire questi e altri aspetti de I tuffatori direttamente con l’autore.
D: Innanzitutto, Daniele, vorremmo sapere cosa ti ha spinto ad andare in Bosnia, per la realizzazione de I tuffatori. E prima di girare questo documentario, ti eri confrontato con altri lavori cinematografici o reportage giornalistici ambientati a Mostar, che possono aver alimentato la tua curiosità?
Daniele Babbo: E’ iniziato tutto grazie ad un viaggio nei Balcani con la mia compagna. Sono sempre stato molto affascinato da tutto ciò che concerne l’Est Europa e i Balcani in particolare. Conoscevo la storia di Mostar ma non avevo visto nessun film o altro. Quando ho visitato la città sono rimasto molto colpito dai ragazzi che si tuffavano dal ponte e una volta tornato in Italia ho deciso di approfondire l’argomento. Dopo qualche mese sono tornato a Mostar e ho iniziato a girare (maggio 2017), ho lavorato al progetto per quattro anni.
D: Come ti sei mosso per ottenere la fiducia delle persone che intervisti nel documentario? Alcuni di loro hanno un vissuto personale e/o famigliare davvero travagliato, non deve essere stato facile…
Daniele Babbo: Fin da subito sono stato accolto molto bene dalla comunità dei tuffatori. All’inizio ho cercato di essere rispettoso dei loro spazi e del loro lavoro. Piano piano ho iniziato a capire come muovermi sul ponte e nel club e giorno dopo giorno la fiducia nei miei confronti è cresciuta. Mi sono sempre posto in maniera molto onesta e rispettosa nei loro confronti e questo sicuramente ha permesso loro di aprirsi e raccontarsi. Ancora oggi li sento spesso, alcuni di loro sono diventati grandi amici.
D: Una delle storie che racconti ha quale orizzonte degli eventi il doversi allontanare da Mostar per trovare lavoro all’estero, un flusso migratorio che pare il destino di molti giovani, lì…. cosa puoi testimoniare a riguardo?
Daniele Babbo: In Bosnia la disoccupazione, soprattutto quella giovanile, è molto alta. Dopo la fine della guerra la città ha impiegato molti anni per riprendersi e ad oggi sia a Mostar che in gran parte della Bosnia i giovani faticano a trovare un impiego e sono costretti ad emigrare. Nel documentario parlo di Igor, il tuffatore più bravo, il campione in carica, che nonostante la sua bravura è stato costretto a lasciare il paese e la sua famiglia. Lui è un esempio palese della situazione in BiH oggi. Ad oggi ben quattro dei tuffatori che si vedono nel film vivono e lavorano all’estero.
D: Quanto spesso ti sei confrontato, nel corso del documentario, con sentimenti di nostalgia nei confronti della Mostar di prima della guerra, specie da parte dei personaggi più anziani? Durante il film si sente più di una volta una vecchia canzone yugoslava, che sembrerebbe riassumere questo sentire…
Daniele Babbo: Alcuni dei tuffatori hanno vissuto la Mostar prima della guerra. Sicuramente molti di loro hanno nostalgia dell’epoca socialista. Nei loro ricordi quel periodo significa pace, lavoro e convivenza. La situazione politica ed economica di oggi sicuramente non da sufficienti garanzie a nessuno di loro, di conseguenza il sentimento non può che essere nostalgico di un’epoca che garantiva loro un lavoro e le basi per una vita dignitosa.
D: Oltre all’elemento socio-politico, ci sono senz’altro quello paesaggistico e le suggestive riprese dei tuffi, tra gli elementi che ci hanno maggiormente colpito. Come ti sei relazionato a questi momenti, sia dal punto di vista personale, emotivo, che nello stile di ripresa?
Daniele Babbo: Sono solitamente molto pignolo quando giro. In questo caso in realtà sono sempre stato più concentrato sul contenuto che sull’estetica. Avendo girato l’intero film da solo non ho avuto davvero modo di prestare molta attenzione all’immagine anche se alla fine sono comunque molto soddisfatto della resa del film. L’approccio è stato completamente diverso rispetto alle mie abitudini. Sicuramente il mio background mi ha aiutato nel curare l’immagine anche se con pochi mezzi a disposizione.
D: Allargando un attimo gli orizzonti della nostra chiacchierata, quali sono stati finora i passaggi più importanti della tua formazione documentaristica? E ci sono autori, sia nel documentario che nel cinema di finzione, percepiti da te quale fonte di ispirazione se non addirittura come modelli?
Daniele Babbo: Questo è il mio primo lungometraggio e mi sono approcciato al film in maniera molto libera. Vedo molti documentari e film e ci sono tanti registi che trovo davvero interessanti e che sono anche fonte d’ispirazione per me. Cristi Puiu, Andrej Zvjagincev, Cristian Mungiu sono senza dubbio quelli che apprezzo di più.
D: Per finire, al netto del comprensibile rimpianto di non veder proiettato il tuo film “in presenza”, per giunta in una cornice splendida quale quella triestina, che impressione ti ha lasciato la partecipazione a un evento di grande spessore culturale come il Trieste Film Festival, vieppiù in una sezione amata ed evocativa come il Premio Corso Salani?
Daniel Babbo: Il dispiacere per non aver potuto vivere il festival in presenza è ovviamente tanto. Per me è stata comunque un’esperienza bellissima. Ho avuto la possibilità di far vedere il mio film a moltissime persone e di vedere un sacco di documentari e film di qualità eccelsa. Far parte di una sezione importante come quella del Premio Corso Salani è stata per me davvero un enorme emozione.
Spero che il documentario possa avere ancora una lunga vita e di poter presenziare in presenza a qualche altro festival.
Stefano Coccia