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Intervista a Dagmara Brodziak

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Al Fantafestival la protagonista di The Day I Found a Girl in the Trash

Dopo la proiezione del polacco The Day I Found a Girl in the Trash, primo film in concorso al Fantafestival 2022, avevamo avuto subito modo di pubblicare la nostra intervista con il regista Michał Krzywicki. Ma una parte essenziale della riuscita del film è da attribuire alla co-protagonista Dagmara Brodziak, che col primo fa squadra – artisticamente e anche nella vita – già da diversi anni. Ruolo molto impegnativo, il suo. Ne abbiamo voluto parlare direttamente con lei, dando vita a un confronto che ha toccato poi parecchi altri punti, dal radicato interesse per il cinema di genere all’odierna vitalità della cinematografia polacca…

D: Attrice. Produttrice. Ma anche sceneggiatrice, per alcune serie televisive, come pure per lo script del film proiettato qui a Roma, The Day I Found a Girl in the Trash, in collaborazione col regista Michał Krzywicki. Quali sono stati quindi i momenti più importanti della tua formazione cinematografica, che sappiamo essersi svolta tra la Polonia e altri paesi?
Dagmara Brodziak: Ho ricevuto le basi della mia formazione alla Warsaw Film School, dove ho incontrato Michał. L’aver conosciuto lui e altri nuovi amici, che frequentavano i corsi di regia e di fotografia, ha rappresentato per me all’epoca uno dei momenti più significativi, perché siamo riusciti a creare un cenacolo di gente giovane e creativa con tanto desiderio di fare cinema, al punto che abbiamo poi potuto imparare l’uno dall’altro realizzando con costanza cortometraggi, videoclip e altri lavori legati al cinema.
Un altro punto di svolta davvero importante è stato per me spostarmi a Los Angeles per prendere parte a diverse masterclass di recitazione, che mi hanno aperto la mente su quante possibilità vi siano e sul mio stesso potenziale. Difatti quel paio di mesi trascorsi lì mi ha fatto capire che non devo aspettare che l’opportunità o il ruolo sognato bussi alle porte, ma posso invece creare tutto questo con i miei mezzi. Perciò il mio viaggio è iniziato nel momento in cui ho deciso di fidarmi di me stessa e prendere il destino nelle mie mani, così da aprirmi in modo creativo per essere abbastanza coraggiosa anche solo da pensare che avrei potuto inventare la mia storia e creare qualcosa del genere. Assieme a Miki (Michał Krzywicki, N.d.R.) ovviamente. Siamo così fortunati da formare una squadra creativa e anche nella vita da ben 10 anni ormai.

D: In The Day I Found a Girl in the Trash abbiamo realmente amato il modo in cui ha portato sullo schermo le emozioni di Blue, nel fronteggiare un mondo che lei deve imparare daccapo . Come hai lavorato su questo aspetto?
Dagmara Brodziak: Normalmente, dopo aver costruito un personaggio, dovrei tuffarmi nell’esplorazione del suo background e dei condizionamenti ricevuti. Qui il processo è stato proprio il contrario. Ho dovuto dimenticarmi di qualsiasi cosa e di ciò che potevo essere stata. Ritengo che rasarmi la testa abbia rappresentato la sfida più grande e anche la maggiore porta d’accesso a questo particolare personaggio.
Sono stata rasata proprio il giorno delle riprese, perciò prima ancora di riuscire a riconoscermi allo specchio ero pronta e a disposizione dell’occhio della camera da presa, che penso abbia potuto catturare immediatamente la mia confusione e l’assenza di personalità. Inoltre ho seguito un fantastico allenamento per il corpo basato sulla danza Butoh, durante il quale assieme al mio coach si è cercato di forgiare il corpo di Blue da zero, basandoci sul movimento degli animali e mappando sia le sensazioni ataviche nel mio corpo che il modo di trasferirle nel movimento. Un grande aiuto per l’intero processo è stato anche avere un coach per la recitazione come Dyba Lach, col quale abbiamo creato il viaggio psicologico di Blue durante tutto il film, confrontando la sua evoluzione con le stagioni e la sequenza temporale della crescita degli esseri umani, dal giorno in cui nasciamo, attraverso l’infanzia , l’adolescenza, la giovinezza e il diventare adulti.

D: Abbiamo chiesto al tuo regista una cosa simile, per cui vorremmo chiederlo anche a te: come avete interagito, in fase di sceneggiatura e ovviamente anche in scena, per far sì che il personaggio di Blue diventasse un tale emblema dell’alienazione, della disumanizzazione stessa, che la società ha creato nel film?
Dagmara Brodziak: Come ho detto prima siamo stati fortunati e persino benedetti dal fatto di lavorare insieme da anni, così anche per questo progetto abbiamo comunicato in modo efficiente e con la giusta apertura mentale. Miki ha trasformato la mia idea e il trattamento iniziale in uno script ben strutturato con adeguati dialoghi: ero emozionata nel guardare tale progetto svilupparsi sotto la sua ala protettrice. Naturalmente abbiamo avuto durante il percorso qualche discussione di natura creativa (il che in un simile processo è normale e salutare). La questione più grossa è sorta con il finale. Michał voleva che l’epilogo fosse più triste e senza speranza. Io chiedevo invece che fosse completamente speranzoso e ciò appariva troppo ingenuo, agli occhi di Michał. Così abbiamo discusso animatamente per circa un mese ma alla fine siamo giunti a un compromesso perfetto, che è poi quello che potete vedere ora sullo schermo.
Mi fido di Miki al 100%. Solo per questa storia, per questo ruolo e per un regista così avrei accettato di sbarazzarmi dei miei lunghi, biondi capelli, che ha rappresentato comunque una dura sfida psicologica per me. Penso che questo fosse un aspetto molto rilevante del ritrarre la disumanizzazione che colpisce la gente nel film. Così abbiamo ritenuto entrambi che dovesse risultare vero e realistico.

D: Certe scene nel film appaiono particolarmente impegnative, sia emotivamente che per come ti sei esposta a livello fisico. Hai mai sofferto o comunque avvertito il peso di tutto questo?
Dagmara Brodziak: Sì, certo. Specialmente le scene di nudo. Ho già fatto scene di nudo in passato. Ma stavolta era differente. Ero calva, senza sopracciglia. Non mi sentivo attraente o a mio agio per niente. Ricordo che una volta ho visto per caso alcune delle scene con le caramelle sui monitor, durante le riprese, arrivando a rifiutare di riconoscermi. Ero scioccata nel vedere sullo schermo una creatura che non appariva neanche una donna. Quella giornata ha rappresentato una sfida per me. Ma per fortuna avevo con me quel coach che m’ha aiutato a ricomporre tutto nella mia testa, in più l’intera troupe con in testa Michał e il nostro operatore s’è comportata in modo molto gentile, rispettoso, comprensivo di cosa comportasse per me girare quelle scene. Non avevo neanche mai realizzato quanto la presenza dei capelli e il condizionamento sociale relativo a come dovrebbe apparire la donna fossero radicati in me, finché non sono arrivati la rasatura della testa e l’intero percorso interpretativo avviato con Blue.

D: Ti imbatti facilmente in interpreti e ruoli che ti piacciono, nel cinema prodotto attualmente in Polonia?
Dagmara Brodziak: Abbiamo così tanti splendidi attori e attrici in Polonia. Uno dei miei film polacchi preferiti degli ultimi anni è The Hater (Sala samobójców. Hejter, 2020, N.d.R.) di Jan Komasa, con un fenomenale Maciej Musiałkowski. Piotr Trojan in 25 years of innocence risulta a sua volta così vero e coinvolgente, mi ha fatto piangere più di una volta.

D: Di solito ti piacciono i film di genere? E se la risposta è sì, quali?
Dagmara Brodziak: Amo parecchio i film di genere. Adoro in particolare quelli di fantascienza come The Eternal Sunshine of The spotless mind, K-pax, Il quinto elemento, The Matrix ed entrambe le versioni di Blade Runner. Tutti questi oltre ad essere follemente seducenti sul piano visivo toccano qualcosa di profondo, talvolta difficile da descrivere a parole, qualcosa che ci rende umani… e tale indefinibile fattore è la cosa più importante per me. Ah, Joe Black rientra anche tra le mie pellicole preferite.

D: Per finire, ti vedremo presto su un altro set, come attrice? O magari nel ruolo di sceneggiatrice, produttrice, film-maker?
Dagmara Brodziak: Sì, sono appena finite le riprese di una serie Netflix, dove ho una piccola parte. E riguardo all’impegno come produttrice, insieme a Michał non si riesce a smettere di creare, perciò ora stiamo lavorando a 2 nuovi progetti proprio in trasferta a Roma. Ci siamo trasferiti qui dopo aver finito The Day I Found a Girl in the Trash per scrivere e creare cose nuove. Uno dei progetti è il neo-western dall’impronta di genere molto accentuata, che si chiama Naked Coast, mentre l’altro è un dramma di fantascienza intitolato Why God’t play with time… quest’altro sogniamo di girarlo interamente a Bangkok.

Stefano Coccia

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