Le stanze della memoria
Ci sono storie che vale la pena di raccontare, il Premio Nobel per la Letteratura nel 2006 Orhan Pamuk lo sa bene e ha deciso di farlo non solo in un romanzo, ma creando quasi un fermo immagine con un museo vero e proprio: “Il museo dell’innocenza” (precisamente a Beyoğlu in Turchia, in una vecchia casa nel quartiere di Çukurcuma). A sua volta il regista Grant Gee è stato colpito nel segno da questa casa della memoria della storia tra Kemal e Füsun, che dall’inchiostro è stata immortalata in un luogo vero e proprio, fino a essere raccontata in Innocence of Memories – Il museo di Orhan Pamuk e Istanbul. Presentato come Evento Speciale alle Giornate degli Autori 2015, sezione parallela della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, soprattutto quando il film decolla colpisce per la semplicità di cuore e di visione con cui vengono raccontate sia la storia d’amore che la città di Instabul. Già in Joy Division – Una storia post-punk (2007), il regista britannico era riuscito a rendere la particolarità di una band fortemente intrisa dell’ambiente circostante (la Manchester post-industriale) e anche in questo caso si avverte tutto l’amore che lo scrittore turco prova per Istanbul e, al contempo, la voglia di Gee di scoprire questa città e restituirla a noi. «Per Innocence of Memories l’obiettivo è stato quello di immaginare una forma che potesse muoversi tra documentario e finzione, tra B-movie e melodramma strappalacrime, tra sinfonia della città e ritratto d’artista. Tutto in una notte immaginaria a Istanbul» (dalle note di regia). Ecco, post-visione, possiamo affermare che questi intenti sono stati rispettati anche nella resa finale, solo nella prima parte il ritmo è un po’ lento, sorge spontaneo chiedersi se la sensazione di dilatazione del tempo sia voluta – quasi a voler immortalarla sul grande schermo – o involontaria.
Man mano che la macchina da presa ci fa fare il tour del museo e, parallelamente, della città, si dipana la storia d’amore tra Kemal e Füsun, a guidarci ci sono le parole dell’amica della nostra lei, Ayla (Pandora Colin), gli stessi pensieri di Kemal (Mehmet Ergen) e su tutto la scrittura di Pamuk, oltre che stralci dell’intervista allo scrittore. Interessante come il regista abbia deciso di proporre questo confronto in tv tra l’autore e il giornalista Emre Ayvaz: alcuni estratti compaiono, infatti, su piccoli schermi ora in un bar deserto, ora in una cabina di un vigilante, ora in una casa vuota.
Esplorando i luoghi de “Il Museo dell’Innocenza”, l’obiettivo sembra far sfiorare quegli oggetti che prendono vita man mano che i capitoli del romanzo proseguono, e, tolti alcuni momenti di impasse, tanto più quando il rapporto assume tinte travagliate lo spettatore si sente coinvolto.
«Proprio come Kemal nel museo» – spiega Orham Pamuk – «io sono allo stesso tempo l’oggetto e il soggetto di questo film incantevole, bellissimo». Accanto a lui, come qualcosa di inscindibile dall’uomo-artista e da questa storia d’amore, c’è Istanbul, «nell’atmosfera notturna da sogno», la stessa che pervade il museo, dove «non entra la luce del giorno» – è la casa dove, fra il 1970 e il 1980, ha vissuto la famiglia Keskin: la giovane e bella Füsun con i suoi genitori. Eppure, quell’aurea da sogno, dalle sfumature romantiche e melodrammatiche, talvolta sembra infrangersi di fronte ai racconti, ad esempio, dello spazzino e del tassista sulle condizioni attuali o attraverso il raffronto fatto dallo stesso Pamuk tra passato e presente. Innocence of Memories corre su questa linea temporale, fa rivivere la figura della bella innamorata non solo con le parole del romanzo, ma anche grazie all’utilizzo delle animazioni (ben realizzate, che contribuiscono a creare suggestioni, a rendere l’idea delle pagine che prendono corpo). Quest’opera vuole essere anche una testimonianza di amore per gli attori e le attrici del periodo aureo del cinema turco, il tutto nella prospettiva di immortalare anche il cinema stesso.
Tra i vari oggetti-ricordi ce n’è uno legato al mozzicone di sigarette che fa stringere il cuore, ma di cui non vogliamo svelarvi troppo, ci ha fatto, però, pensare come alcune storie d’amore non siano solo frutto dell’immaginazione, anche se è lo stesso film a interrogarci su dove finisca la storia vera e dove sia stato ricamato sopra.
«Una città può diventare il museo dei nostri ricordi se ci viviamo abbastanza a lungo». Ecco, questa è Istanbul per Orham Pamuk e, grazie a Innocence of Memories, li ha condivisi con noi, è come – prendendo in prestito alcune parole – «vedere il tempo che si trasforma in spazio».
Maria Lucia Tangorra