Quando idioma e suoni diventano valore aggiunto
“L’essere umano plasma inconsciamente variazioni di un tema originario che non è stato in grado né a superare né a convivere; egli cerca di dominare un fenomeno che nella sua forma nodale gli è indicibile, incontrandolo perpetuamente.”
Erik Homburger Erikson
Il nuovo mediometraggio di Michele Pastrello, Inmusclâ, rientra a pieno titolo in quel ‘microcinema delle emozioni’ di cui l’autore è interprete profondo e prolifico; girato in un inusuale clautano, che è una variante unica della lingua minoritaria friulana, scelta ancor più insolita (ma non troppo, vista la contiguità geografica) data l’origine veneziana/trevigiana di Pastrello, colpisce in primis i sensi, in particolare la vista e l’udito, con paesaggi mozzafiato di una natura selvaggia e potente ed una colonna sonora che si integra alla perfezione con i suoni d’ambiente, donando un’esperienza immersiva nel girato tutt’altro che ordinaria.
La storia si srotola e si riavvolge, tra flashback ed immagini che sembrano provenire da una dimensione parallela, con una impronta squisitamente misterica, pregna di un simbolismo semplice ma denso di significato; per certo verso un mistery, con l’allusione continua alla sparizione di qualcuno, per altro un viaggio onirico nella mente della protagonista, interpretata dalla intensa Lorena Trevisan, che si è immersa nelle asperità della natura con notevole abnegazione ed impegno fisico, tra il gelo della neve e le arrampicate sulla roccia, e raccontata dalla voice over di Bianca Borsatti, anziana poetessa di versi in clautano.
I silenzi si confondono con i rumori del bosco e la voce narrante, in un unicum che penetra sottopelle come il sangue della misteriosa protagonista che sgorga lentamente da ferite inattese e cangianti; l’esplorazione dei paesaggi montani del Friuli, qui nello specifico alcune location della Valcellina invernale (Andreis, Claut, Barcis), rimanda alla memoria il film di Lorenzo Bianchini Across the river (Oltre il guado), e si colora delle atmosfere Lynchane, con il fantasma di Laura Palmer ricoperto di muschio che aleggia nei boschi friulani. Forte il simbolismo, dal bosco che sembra animarsi alle strane creature di muschio, fino al mistico incontro con il lupo, che si confonde con la creatura, infine si sdoppia, allontanandosi come un sogno che svanisce quando ci si sveglia, in una visionarietà estrema, presente finanche nel montaggio di alcune scene.
Inmusclâ, in clautano, significa proprio ‘ricoperto di muschio’, come le creature che conducono una bambina nel bosco e braccano – che sia nella mente o nella realtà- la giovane protagonista; mentre il mistero su chi sia la bimba, se la figlia o la stessa protagonista cresciuta rimane insoluto sino alla fine, le immagini si confrontano e si sovrappongono, con un linguaggio sperimentale penetrante ed autentico.
‘Il male arriva a quintali e va via ad once‘, cita un proverbio clautano: non a tutte le disgrazie esiste rimedio e l’unica soluzione è imparare a conviverci senza lasciarsi abbattere. Ma quando l’essere umano non riesce a superare un dramma o a convivere con esso, questo tornerà perpetuamente nella propria vita. Sotto forma di allegoria simbolica, Pastrello ne fa il perno del proprio racconto, mostrando con immagini avvincenti e visionarie il dedalo interiore della condizione umana.
Michela Aloisi