Persi nell’Universo
Il Portogallo sa fare fantascienza? Si tratta di una domanda tutt’altro che oziosa vista la scarsa diffusione che la cultura lusitana ha al di fuori dei propri confini. Pur essendo pienamente inserito nel contesto europeo, il Portogallo mantiene sempre una sorta di dimensione periferica rispetto al resto dell’Europa occidentale. Non deve dunque stupire la curiosità che suscita ogni opera portoghese che riesca a varcare i confini nazionali. Come questo Infinite Sea (Mar infinito), lungometraggio fantascientifico del regista Carlos Amaral in concorso al Ravenna Nightmare Film Fest 2021. Amaral aveva già dimostrato nelle sue opere precedenti interesse verso l’ambiente fantascientifico e dunque questa sua nuova opera appare coerente con la sua filmografia. Coerente sia per habitus che per stile. Amaral infatti si concentra su di un filone “filosofico” della fantascienza che fu in auge soprattutto tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento. Un filone nel quale la storia di fantascienza era più che altro un espediente narrativo per permettere agli autori di dare un corpo alle loro riflessioni circa la vita e la condizione umana.
Così è Infinite Sea. All’interno di una storia che tratta il tema oramai classico della colonizzazione spaziale e porta con sé tematiche quali l’immigrazione, l’abbandono ed i legami umani, il regista lusitano cala i personaggi, e gli spettatori con essi, in una dimensione quasi metafisica nella quale piano onirico e reale si confondono. Il ritmo del racconto è assai lento, è indiscutibile come non sia un film d’azione quello al quale assistiamo, e tradisce la matrice fortemente intimista e meditativa dell’opera. Ciò che davvero sembra interessare Amaral è riflettere circa la condizione umana in tempi di grandi cambiamenti, cambiamenti epocali. Un’epoca molto simile a quella nella quale viviamo. E qui la scelta della veste fantascientifica per la storia appare coerente con quanto fatto in passato da altri autori, i quali si erano serviti di tale veste per celare più o meno appassionate riflessioni circa la realtà contingente. Nel film di Amaral questo intento si traduce in una regia che cerca di comunicare soprattutto attraverso le immagini e gli sguardi dei personaggi. Sono le inquadrature e le scene prive di dialogo quelle che paiono più pregne di significato.
Vola alto Amaral, o quantomeno ci prova. Non sempre la regia appare in grado di gestire e controllare il dispositivo narrativo che ha messo in atto. Ciò produce una certa sfilacciatura nella narrazione, con alcune sequenze visivamente notevoli ma che faticano a trovare un immediato riscontro per lo spettatore. Non è insomma perfetta, un impeccabile saggio di filosofia nella quale cercare e trovare una risposta coerente ad almeno una delle innumerevoli domande circa l’esistenza umana; ma ha indubbiamente il merito di provarci ed il coraggio di farlo in maniera coerente e senza ricadute di stile, pur velato da una profonda malinconia molto portoghese che porta con sé un senso di morte e di perdita ineluttabile.
Luca Bovio