«Si supera l’autobiografia per toccare corde universali»
«Sono la bambina che non voleva cantare. Pensate se avessi voluto», ha esordito così, la cantante Nada Malanima, nel videomessaggio che ha voluto inviare per l’incontro stampa di presentazione del film tv sul proprio periodo dell’infanzia e dell’adolescenza fino agli esordi. «Qualche anno fa» – ha continuato – «ho scritto il mio primo romanzo, “Il mio cuore umano” – in precedenza era stata pubblicata una piccola raccolta di racconti pensieri intitolata “Le mie madri”. Parla della mia infanzia e del mondo in cui sono cresciuta. L’ho scritto perché avevo lasciato nella mia vita questo legame forte con queste radici, verso queste persone con cui ero cresciuta e che mi avevano dato veramente tanto e forse, mentre stavo lì, non me n’ero resa conto, ma crescendo ho capito un sacco di cose, quindi ho sentito il desiderio di riappacificarmi in questo modo con loro e di dargli qualcosa, di fare un viaggio nella memoria, un viaggio della mia famiglia. Quando è uscito il libro la regista Costanza Quatriglio se n’è innamorata e abbiamo deciso di realizzare un documentario. Successivamente l’idea si è sviluppata in un film. Le storie anche se partono da un singolo diventano universali, ci accomunano. Il lavoro di Costanza è stato perfetto, ha dato molto rilievo ai sentimenti. Tutti gli attori poi sono veramente bravi, e hanno dato il meglio di sé».
La bambina che non voleva cantare: sinossi ufficiale
Nella campagna toscana dei primi anni Sessanta vive la piccola Nada (interpretata a 7 anni da Giulietta Rebeggiani). Il suo universo è composto da nonna Mora (Nunzia Schiano), dalla sorella Miria (Giulia Battistini), dal babbo Gino (Sergio Albelli), un uomo buono e silenzioso, e dalla mamma Viviana (Carolina Crescentini), spesso preda di forti depressioni che la tengono lontana dalla figlia e dal mondo. Quando suor Margherita (Paola Minaccioni) scopre il talento di Nada per il canto, il cuore fragile della bambina si convince che solo la sua voce prodigiosa ha il potere di far guarire la mamma.
E così, tra la gioia di veder la madre finalmente felice e la paura che la malattia si possa riaffacciare all’orizzonte, Nada cresce accettando ciò che Viviana desidera per lei, fino a quando quel grande talento sopravvivrà persino alle sue stesse paure: tutti scopriranno presto la voce unica di quella bambina che non voleva cantare.
Riflessioni sul film tv
La bambina che non voleva cantare fa conoscere ai più degli aspetti inediti della cantante, puntando su una narrazione che pone in rilievo le relazioni umane (fatte anche di silenzi così come di litigi) e le emozioni, senza mai inciampare nel ‘pericolo’ della retorica – merito, in primis, della sceneggiatura a quattro mani della Quatriglio con Monica Rametta. Lo sguardo della regista accarezza i personaggi, col rispetto e verrebbe da dire quasi l’affetto di chi sa che sta toccando qualcosa che è realmente accaduto, compreso il dolore di una ragazzina nel sentirsi impotente di fronte alle crisi della propria madre o nell’avvertire ‘il peso’ di accontentarla per renderla felice. Al contempo la Quatriglio affonda l’obiettivo della macchina da presa quando è necessario, non fa sconti proprio come la vita vera ed è qui che si coglie l’onestà intellettuale del progetto, reso tale anche grazie alle interpretazioni dell’ottimo cast.
Le testimonianze del cast artistico
Costanza Quatriglio: «L’idea di raccontare questa storia è nata perché ho conosciuto Nada e anche con la lettura del libro. Dopo la presentazione de “Il mio cuore umano” a Roma alla fine del 2008 (era presente anche Mario Monicelli), ricordo che abbiamo chiacchierato, parlando della sua storia e scherzato sull’immaginario toscano… questo mondo che io sentivo come un realismo magico di questi personaggi. Già allora avevo trovato la mia chiave personale per rappresentare questa storia: questa voce di Nada quasi terapeutica per la madre malata di depressione. Nel documentario Nada mette a nudo tutte le proprie fragilità e racconta il rapporto conflittuale con la madre. Sicuramente è stata una fascinazione che ho provato subito e una cura che è durata tanto tempo. È stato come ‘custodire’ per diversi tempo questa storia facendo crescere il desiderio di far nascere questi personaggi, compresi quelli di contorno, non solo quello di Nada e della madre. Ho creduto immediatamente nella forza dirompente del personaggio di questo maestro di canto (Paolo Calabresi), un romanticone che insegna a Nada canzoni d’amore, attingendo, quindi, anche alla tradizione della canzone italiana di quegli anni così come ho creduto fortemente nel personaggio di Suor Margherita, che viene dipinto come questa suora un po’ maldestra, però piena d’amore.
Mi piaceva l’idea di raccontare un talento involontario in cui tutti gli adulti vedono qualcosa, la suora vede quasi Dio in persona. Soprattutto la mamma – prigioniera di una depressione, di un male di vivere. Abbiamo cercato il più possibile questo sentimento di sincerità, dove il male di vivere si accompagna anche a una gioia reale nel momento in cui la bambina canta e questo crea l’equivoco: Nada pensa di poter guarire la madre ed è un conflitto insanabile. Lei che non voleva esibirsi in pubblico, impara a fare i conti col proprio talento per amore di questa madre. È un racconto che mi piaceva moltissimo perché mi attraeva l’idea della favola, di mettere insieme pure le paura dell’infanzia – come quelle più profonde della perdita dei genitori. Si tratta di un racconto specifico, un’autobiografia, ma è qualcosa che supera la specificità dell’esistenza di Nada per toccare corde condivisibili, che appartengono un po’ a tutti e con Monica Rametta abbiamo lavorato proprio in questa direzione affinché il fuoco del racconto fosse chiaro».
Carolina Crescentini: «Viviana è una mamma molto complessa probabilmente perché le serve tutto il percorso per capire davvero cos’è una madre. Verso la figlia è una donna che scende sale in continuazione, ma il talento di Nada è per un qualcosa da sfruttare non nell’ottica di arrivismo, lo vede come un passaporto per la libertà per sua figlia, la possibilità di vivere una vita differente alla sua, che era stata già scritta da sua madre, sua nonna e dalla sua bisnonna. Nada attraverso la musica potrà avere una vita completamente diversa: viaggiando potrà scegliere il riscatto. Ad esempio sua sorella Miriam ha accettato serenamente la vita che le si prospetta, anzi è quello che desidera, anche perché non ha avuto neanche termine di paragone o strumenti che le potessero permettere questo questo nuovo percorso. Con Nada è diverso, in più hanno un rapporto particolare tra loro in quanto è una dipendenza reciproca e simbiotica; per sua madre Nada rappresenta una sorta di sorella gemella, il che rende tutto è amplificato. Al contempo ritengo che ci sia un amore enorme anche quando non è in grado di esprimerlo o è in balìa».
Tecla Insolia (interpreta Nada a 15 anni): «È un personaggio complesso ma anche leggero. Mi piace molto perché in quasi tutte le scene è triste, poi, quando canta, sembra essere felice. Per lei il canto è un mezzo per per poter esprimere tutta la rabbia e tutti i sentimenti che prova».
Paolo Calabresi: «Sono innamorato di questo progetto dal primo momento in cui ho letto la sceneggiatura. Ho visto subito il documentario di Costanza e letto il bellissimo libro di Nada. Ho trovato straordinaria questa assenza di celebrazione della grande cantante, che ci si concentrasse totalmente su tutto quello che era interiore, non esteriore. Si tratta di una storia bellissima, di una crescita difficile come tutte le crescite, che non ha niente di patinato né di televisivo nell’accezione peggiore del termine. Parallelamente alla crescita della bambina, avviene la crescita di tutti coloro che le stanno intorno, tra cui anche questo povero maestro Leonildo, il quale è un disadattato come tanti personaggi. È un uomo che non vive il suo tempo, quindi è destinato necessariamente alla malinconia; però anche lui ha modo di crescere».
Paola Minaccioni: «Anch’io, come raccontava Paolo Calabresi, mi sono innamorata del progetto. A ciò si sono aggiunti il desiderio di lavorare con Costanza Quatriglio di cui ammiravo il lavoro così raffinato, l’idea di affrontare un personaggio comico all’interno di questo realismo magico. Mi sono lanciata nei panni e anche nella pelle di questa suora così grande rispetto a me. Le suore negli anni Sessanta svolgevano quasi un ruolo a livello familiare, avevano un ruolo quasi da assistenti sociali. Ho tenuto a incarnare suor Margherita come una suora molto concreta, che per caso riesce a trovare il divino in questa bimbetta e a portarlo nella casa, quindi lei, secondo me, è un personaggio magico proprio perché ha il compito di scovare il divino e portare poi la salvezza in tutta la famiglia».
Le domande dei giornalisti
D: Il film ruota proprio intorno a questo rapporto madre-figlia, con tutte le sfaccettature importanti insite in questa relazione. Spesso c’è un un filo tra le aspirazioni delle madri e quello che le figlie riescono a fare…
C. Quatriglio: «Credo che quello che rende speciale questo rapporto tra madre e figlia è la potenza del talento del corpicino della piccolina. Viviana trasferisce in questo desiderio qualcosa di profondo, che riguarda anche la suora, lo fa dal suo punto di vista così come il maestro. Questa ragazzina è al centro dei desideri degli adulti, che attraverso questo suo talento esprimono i loro desideri più profondi, il punto di vista sul mondo, il loro modo di stare al mondo e questo ritengo che sia differente rispetto alla questione puramente e semplice della madre che desidera per la figlia un riscatto».
D: Possiamo approfondire la figura del padre di Nada?
C. Quatriglio: «Con Nada abbiamo parlato a lungo di come si sviluppa e svela la figura di suo padre. Un uomo apparentemente silenzioso, ma che poi capiamo essere più potente. È un antieroe, non è quella figura che tutti si aspettano, ha un altro tipo di forza: la sua capacità di leggere il mondo in un certo modo, tant’è vero che poi quando è il momento di fare le cose, c’è come fanno i padri quelli con la P gigante».
M. Rametta: «Abbiamo lavorato molto nel far emergere questo realismo magico e, a mio parere, c’è perfino nel padre. C’è qualcosa di magico quando improvvisamente questo padre si svela facendo un gesto molto semplice, suonando un clarinetto. Da questo piccolo gesto si svela un personaggio mite, il quale sa quando intervenire. Nella nostra trasposizione abbiamo cercato di dare a tutti quanti diverse sfaccettature e questo realismo magico abbiamo cercato di fonderlo un po’ in tutti i personaggi del racconto».
Sergio Albelli: «Inizialmente, leggendo il copione, ho avuto dei dubbi poiché non volevo che si scadesse nell’ennesimo stereotipo del padre assente. Poi ho parlato con Costanza, la quale mi ha introdotto a un punto di vista diverso. Il padre è mite, non imbelle. La storia, invece, ha un radicato punto di vista femminile per questo non poteva essere descritto un padre autoritario. È un uomo che non si nasconde dietro la moglie, ha uno scatto di nervi, è lui che decide di riportarla in casa, forse non ha gli strumenti culturali per comprendere tutto».
D: Per Carolina Crescentini: com’è stato dar corpo a questa madre?
C. Crescentini: «Ci sono diversi sentimenti insiti nel personaggio che mi hanno emozionata. Non sono una madre e mi sono dovuta immedesimare nelle sensazioni che prova questa donna verso sua figlia. Mi sono innamorata di Nada bambina. Ero molto preoccupata perché ci tenevo che a Nada il film piacesse e, per fortuna, è stato così. Io sono diversa da Viviana, ma ho trovato sempre piccoli punti di contatto. Non so dire quali siano esattamente».
D: È molto bella la versione rock di “Ma che freddo fa”. Quanto si è confrontata con Nada ai fini della realizzazione del film?
C. Quatriglio: «Con lei si era già creato un rapporto sereno, non avevamo paura di sbagliare. Abbiamo fatto un gioco per trovare le canzoni che sarebbero state messe in scena durante le gare di canto – abbiamo spulciato un quaderno, che si vede nel film, esiste davvero e Nada conserva ancora. I brani che abbiamo selezionato sono gli stessi che sentivo cantare da bambina da mia zia. Abbiamo fatto entrambe un viaggio nella memoria. Tecla non lo sa ancora, ma quando Nada ha visto il suo video-provino, ha dichiarato subito quanto le piacesse e, quando ha sostenuto il provino dal vivo, con Chiara (Polizzi, la casting director, nda) ci siamo innamorate perdutamente di Tecla. Inoltre, Nada non è masi stata sul set, mi ha lasciato lavorare e seguire la mia strada».
D: Un aspetto importante è il toscano e, in particolare, il livornese, come vi siete preparati?
C. Crescentini: «Abbiamo avuto un bravissimo dialogue coach, Michele Crestacci, e poi ho seguito molti video su youtube anche perché il livornese è un tipo particolare di toscano».
T. Insolia: «Vivo in provincia di Livorno da quando sono nata, anche se ho origini siciliane. Per questo sono stata avvantaggiata».
D: Per Costanza Quatriglio: si assiste a un interessante dialogo tra la madre di Nada e il maestro in merito all’amore disperato. Visto che “Amore disperato” è il titolo di una canzone di Nada, si sta pensando a un sequel?
C. Quatriglio: «Non lo sappiamo se ci sarà. Il dialogo in questione è un modo per esplorare il personaggio del maestro. La battuta, poi, è uno dei piccoli riferimenti alla vita di Nada».
D: Per la regista: è molto interessante constatare come varie figure, dalla montatrice al direttore della fotografia, passando per comparto scene, costumi, trucco e parrucco, sia costituito da donne. Quanto questo influisce?
C. Quatriglio: «Per me è naturale, ovviamente io sogno un mondo in cui questa percezione sia naturale anche da parte degli altri. Con il mio direttore della fotografia ho realizzato tutti i miei film dal 2012 in avanti. Per me è talmente tutto che non me ne accorgo; sono le persone più giuste per realizzare quel determinato progetto. Una volta anche le sarte hanno notato questo aspetto. Bisogna che muti la percezione delle donne professioniste nel settore cinematografico, che appunto tutti non notino più se la troupe è per lo più al femminile».
D: Per la co-sceneggiatrice Monica Rametta: lei aveva dichiarato che “Un’altra vita”, “Sorelle” e “Mentre ero via” erano delle opportunità di raccontare un personaggio femminile che aveva una seconda possibilità…
M. Rametta: «Costanza prima accennava alle illusioni perdute. Io ho sempre pensato questo film un po’ come una ragazza che è costretta in qualche modo a fare i conti con la vita e diventare adulta fino a capire che non può essere lei a guarire la mamma; può solo prendere in mano la propria vita. È un cambiamento anche questo, però più morbido e delicato».
«La musica ci ricorda chi siamo e da dove veniamo, facendoci immergere nella nostra tradizione e nel nostro immaginario. Così, se il racconto dell’infanzia ha il sapore del ricordo, nell’adolescenza, man mano che la storia procede, sentiamo avvicinarsi la contemporaneità con stupore ed emozione per un mondo che è tutto da scoprire» (dalle note di regia).
Appuntamento al 10 marzo alle h 21.25, in prima visione, su RaiUno.
Maria Lucia Tangorra