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Inanimate

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VOTO: 8

Una vita andata in pezzi

Katherine ha una vita normale, un lavoro normale, un fidanzato normale e un appartamento normale. Tutto nella sua vita sembra normale o almeno è quello che pensa fino al momento in cui tutto comincia a caderle letteralmente a pezzi! Nel caso di Inanimate, il pluridecorato cortometraggio di Lucia Bulgheroni, l’esistenza della protagonista va in frantumi nel vero senso della parola. Vedere per credere ed è quanto abbiamo avuto la fortuna di fare nel corso della seconda edizione del Saturnia Film Festival, laddove la pellicola è salita sul podio più alto della sezione dedicata all’animazione. Premio, questo, che si va ad aggiungere a un palmares di tutto rispetto, conquistato nel corso di un lungo e fortunato percorso tutto in discesa all’interno del circuito festivaliero internazionale, iniziato in quel di Cannes 2018 con il terzo posto al Prix Cinéfondation.
Non c’è male se si pensa che si tratta di un lavoro di diploma, realizzato a compimento di un master alla National Film & Television School di Londra. Insomma, se il buongiorno si vede dal mattino, Inanimate è solo il primo passo di una fortunata carriera. Il tempo siamo sicuri ci darà ragione, nel frattempo ci godiamo quello che a nostro avviso è, insieme a Secchi di Edoardo Natoli, Framed di Marco Jemolo e SugarLove di Laura Luchetti, uno dei migliori corti nostrani in stop motion di recente produzione.
La Bulgheroni strizza l’occhio ai capisaldi del passo uno, sfruttando al meglio le potenzialità messe a disposizione di una tecnica che richiede una lunga gestazione e tanta pazienza. Ma il risultato nel suo caso ha dato dei frutti straordinariamente maturi, che come ha sottolineato la giuria della kermesse toscana che lo ha premiato rappresenta «un incredibile viaggio alle origini dell’animazione, con la creatura che incontra il suo creatore: Truman Show meets Tim Burton» . E in effetti, proprio questo incontro ha generato nell’immaginario della regista e della sua crew un universo visivamente curato che si va sgretolando sotto i piedi della protagonista e davanti agli occhi dello spettatore di turno, quest’ultimo posto anche per un breve giro di lancette in una posizione di onniscienza nel momento in cui l’autrice gli concede una parentesi di backstage in timelapse. Il tutto per mostrare dove l’esperienza (ri)animata di Katherine ha preso forma e sostanza, per poi esaurirsi sul grande schermo regalando al fruitore un racconto che esplora con delicatezza, oltre a temi universali come i legami affettivi, le relazioni umane e l’incomunicabilità, anche tutta una serie di questioni che riguardano la filosofia, la psicologia e il suo subconscio, senza per fortuna perdere mai la bussola.

Francesco Del Grosso

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