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In fondo al bosco

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VOTO: 7

Uomini e demoni (interiori)

Prodotto da Sky Cinema in associazione con Onemore Pictures, In fondo al bosco può essere considerato per vari motivi una boccata di ossigeno, nel panorama del cinema di genere italiano. Giovane e promettente il regista. Fresche alcune delle intuizioni riversate nello script. Ottime sia le scelte di casting che quelle relative ai luoghi, tipicamente montani, in cui si sviluppa una così fosca vicenda. Insomma, innestando in paesaggi dolomitici resi qui affascinanti ma cupi le dinamiche di un thriller psicologico che occhieggia ripetutamente al mistery, Stefano Lodovichi (ben coadiuvato in sceneggiatura da Isabella Aguilar e Davide Orsini) ha saputo estrarre dal folclore locale un racconto che ha innanzitutto il merito di catturare l’attenzione dello spettatore dall’inizio alla fine.

Abbiamo fatto subito riferimento alla componente folcloristica, eppure ne vengono trattate anche altre di importanza più o meno pari, come per esempio l’impatto sulla collettività di quegli episodi di cronaca nera che i media tendono a divulgare, spesso e volentieri, in modo grossolano, morboso, sensazionalistico. Questo aspetto è presente soprattutto nelle battute iniziali. La storia parte ammiccando a leggende e ricorrenze tipiche dell’arco alpino, humus ideale, questo, per creare suggestioni di natura satanica, metafisica, velatamente orrorifica: si dà infatti il caso che in un paesino di montagna, dove già in passato sono avvenute sparizioni di minori, abbia luogo ogni 5 dicembre la tradizionale festa dei Krampus, che vede gli abitanti del villaggio travestirsi da diavoli e gozzovigliare fino all’alba, con l’alcol che ovviamente scorre a fiumi tra i partecipanti. E gli abusi alcolici sembrano essere un’autentica dannazione per il giovane papà Manuel Conci (interpreto dall’ottimo, convincente Filippo Nigro), che nel fatidico 5 dicembre del 2010 si fa distrarre dai bagordi al punto di lasciarsi scappare il suo bambino, Tommaso, destinato a sparire misteriosamente dopo essere entrato nel bosco da solo. Tra la gente del paese sembra naturale pensare che sia accaduto qualcosa di diabolico. Ma ancora più naturale, complici le insistite, tambureggianti accuse portate avanti da programmi televisivi avvezzi (per l’appunto) a rimestare nel torbido, sarà ipotizzare che con quella scomparsa c’entri qualcosa lo stesso papà, il quale finirà ben presto nella lista degli indagati. Nonostante la mancanza di prove concrete e la conseguente liberazione, molti continueranno a pensare che sia lui il mostro, almeno fino a quando, cinque anni dopo, non verrà ritrovato alla periferia di Napoli un bambino che per l’età potrebbe anche essere il redivivo Tommaso.
Stando ai primi controlli effettuati dalle autorità sembrerebbe anzi che sia proprio così, senza dubbi di sorta, ma invece di rasserenare gli animi il ritorno in paese del presunto Tommy riaprirà vecchie ferite, scatenando sospetti a catena e conflitti famigliari dall’esito imprevedibile…

Scritto con un’attenzione notevole alle psicologie di personaggi su cui quel quadro ambientale chiuso, soffocante, finisce per esercitare una pressione costante, In fondo al bosco ha senz’altro buon gioco nel mescolare registri differenti, che contribuiscono comunque a creare un’atmosfera angosciante e tesa: la paura del demoniaco si sovrappone così all’esplodere di piccoli drammi famigliari, mentre scene silvestri e notturne da fiaba gotica sembrerebbero portare in una determinata direzione, che contrasta però coi più prosaici toni da cronaca nera, destinati a emergere strada facendo.
Anche certe tonalità fotografiche votate al macabro e una regia molto calibrata, tesa a valorizzare tanto le suggestioni ambientali che le paranoie dei protagonisti, lavorano in direzione di un thriller che può vantare il suo appeal internazionale, contemporaneo, pur esprimendo quelle connotazioni “glocal” già care ai film di genere italiani dei bei tempi andati, quelli del primo Avati, di Fulci o di Antonio Bido, per intenderci.
Tra gli elementi più forti presenti in sceneggiatura vi è peraltro quel senso di esclusione cui va incontro il protagonista maschile, portato a subire da altri soggetti della piccola comunità alpina quelle forme di ostracismo, quei ripetuti atteggiamenti di diffidenza e di chiusura mentale, che ci hanno fatto pensare a situazioni analoghe in film italiani recenti, ugualmente ambientati in montagna: La foresta di ghiaccio di Claudio Noce e, su un fronte più dichiaratamente autoriale, Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti. Come a definire un possibile Lato Oscuro della baita e dei pascoli in quota!

Se la trama a incastri nel complesso funziona, qualche critica ci sentiamo di muoverla a quei sub-plot dall’aria più grezza, scontata, superficiale, che aggiungono elementi importanti alla storia senza saperli lavorare altrettanto bene a livello di dialoghi, di verosimiglianza psicologica e caratteriale: su tutti la relazione clandestina tra Hannes, il commissario del paese che si era occupato della scomparsa di Tommy, e la madre sconvolta del bimbo, Linda, interpretata peraltro da una Camilla Filippi davvero molto brava nel rendere lo stato mentale della donna, così fragile, inquieto, turbato.
E se gli attori ci sono parsi quasi tutti in parte, una menzione speciale va al ragazzino che interpreta Tommaso dopo il rientro a casa, l’esordiente Teo Achille Caprio, un concentrato di tratti angelici e diabolici dalla cui sfrontata naturalezza di fronte alla videocamera passa, per certi versi, la credibilità di questo inquietante, sinistro racconto cinematografico.

Stefano Coccia

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