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I’m – Infinita come lo spazio

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VOTO: 9

Sognare ad occhi aperti: in 3D viene anche meglio

Ci sono affinità destinate a non sparire col tempo. Il feeling di chi scrive nei confronti del cinema di Anne Riitta Ciccone risale per esempio a tempi lontani, addirittura a L’amore di Marja (2002): il secondo lungometraggio da regista della cineasta italo-finlandese, così intimista, dolente e comunque vitalistico, aveva saputo colpire nel segno. Poi è venuto un film non meno incisivo e spiazzante come Il prossimo tuo (2006). E tuttora dispiace non essere riusciti ad entrare nel 2010 alla gettonatissima proiezione di Victims, il primo corto italiano narrativo in 3D, presentato allora al Festival di Roma.
Sono stati molto spesso parti produttivamente difficili. E questo spiega anche una filmografia così diradata negli anni. Ma a mettere insieme le tessere del puzzle ne esce fuori ad ogni modo un percorso assai affascinante: come se un cinema capace di “mutare pelle” più volte, quale ci appare in fondo quello della vulcanica Anne Riitta Ciccone, avesse conservato una invidiabile coerenza di fondo e una sua ragion d’essere che scorre sottotraccia, alla stregua di un fiume sotterraneo sepolto tra storie, ambientazioni e approcci formali apparentemente così distanti tra loro.

Ci tocca in ogni caso ripartire da un appuntamento mancato, ovvero da quel primo cortometraggio in 3D. Sì, perché anche I’m – Infinita come lo spazio è stato realizzato avvalendosi della stereoscopia, con l’apporto fondamentale di quel David Bush da cui la regista era stata iniziata, già intorno al 2009, a una ricerca su tale strumento espressivo giunta qui al suo snodo fondamentale.
Per scrupolo abbiamo voluto vedere il film in entrambe le versioni attualmente in sala, quella bidimensionale e quella in 3D. Ebbene, alla faccia di quelle pose annoiate e intellettualoidi per cui tale mezzo non avrebbe più nulla da dire, è stata proprio la proiezione in 3D a lasciarci a bocca aperta, proponendo nella circostanza un approccio alla visione stereoscopica tale da essere valore aggiunto, viatico per quel rapporto maggiormente empatico e in qualche misura anche “sensoriale” dello spettatore coi personaggi e con le loro turbolente vicissitudini.
Del resto I’m – Infinita come lo spazio, oggetto filmico fuori dagli schemi e per certi versi sfrontatamente apolide, tende a risultare spiazzante sin dall’ambientazione e dalle sottili note stranianti che la pervadono: paesaggi innevati e una cittadina pulita, ordinata, che è facile immaginare sull’arco alpino, fanno da sfondo a un racconto di formazione “sui generis” incentrato su famiglie disfunzionali e su tensioni adolescenziali sempre pronte ad esplodere; come pure su un doppio binario (rimarcato anche dalla citazione finale di Edgar Alla Poe) costituito da sogno e realtà, da catartiche fughe nell’immaginazione e aspri confronti con le difficoltà del quotidiano. Il tutto filtrato dallo sguardo inquieto della giovanissima protagonista, Jessica, interpretata da un’attrice tedesca emergente di notevole carisma come Mathilde Bundschuh: sguardo penetrante e capelli viola, la vediamo muoversi tra problemi domestici e rapporti conflittuali sia coi coetanei più superficiali che con gli insegnanti di una scuola lager, lasciando nella retina l’impressione di un’elfa triste poiché imprigionata in un mondo troppo banale. Ed è già in questa presentazione del personaggio che il 3D svolge dannatamente bene la propria funzione. Se il suo utilizzo in certe scene oniriche, come quella iniziale con un fucile puntato verso lo schermo, può anche ricordare citazionisticamente certe trovate “ad effetto” dei thriller e degli horror così proposti in sala (ed è anche giusto che accada), per il resto la stereoscopia (seguendo tracce già battute da maestri come Bertolucci e Wenders) ha qui tutt’altra funzione: basta seguire le camminate della protagonista lungo corridoi che grazie agli speciali occhialetti inforcati da noi spettatori sembrano allungarsi all’infinito, oppure le singolari geometrie che caratterizzano gli incontri coi tetri personaggi dei servizi sociali o coi compagni di classe già sinistramente inquadrati, allorché a una messinscena più realistica si sostituiscono coreografie da musical (per non dire da videoclip: le ombre di The Wall e della new wave di qualche decennio fa vi appaiono parimenti rievocate, ma con sfumature che anche a livello scenografico rendono ogni cosa più eterea e atemporale), per rendersi conto che l’alterazione della percezione spaziale è linfa vitale da cui la poetica di I’m – Infinita come lo spazio si alimenta costantemente.

Scritto a quattro mani con Lorenzo d’Amico de Carvalho e co-prodotto dal sodale di sempre Francesco Torelli, il lungometraggio realizzato da Anne Riitta Ciccone si fa quindi apprezzare, strada facendo, sia per l’eccentricità della ricerca sulle immagini che per la sua capacità di osare sul piano narrativo: un po’ teen movie all’americana opportunamente stravolto e dirottato verso altri lidi, un po’ fumettone underground dalle tinte acide, un po’ celebrazione di subculture musicali da scoprire con gusto (ancora dalla Germania arrivano i Project Pitchfork, band industrial/dark-electro in grado di offrire, assieme ai brani di una colonna sonora davvero vibrante, una notevolissima presenza scenica), un po’ sinistra fiaba contemporanea, un po’ parafrasi stilizzata di recenti tragedie (ma i rimandi a episodi come quelli che hanno ispirato Elephant e Bowling a Columbine, pur presenti, subiscono qui una rilettura diversa e assai personale), in ogni caso I’m – Infinita come lo spazio fagocita tutte queste suggestioni senza dimenticare mai l’interesse per i personaggi, per la loro sensibilità turbata.
Alla centralità della figura di Jessica si sovrappone infatti una narrazione corale, che è anche abile tessitura di presenze/assenze in cui alcune figure “ispiratrici” hanno un ruolo fondamentale: la presenza severa di una madre disillusa e distaccata emotivamente (impersonata dalla grande Julia Jentsch, che avevamo particolarmente apprezzato in film come Hannah Arendt, La Rosa Bianca – Sophie Scholl, The Edukators) si incrocia ad esempio con il differente e positivo influsso esercitato sulla ragazza da Susanna, cantante che si è vista costretta a fare un passo indietro rispetto alla propria carriera artistica, senza però rinunciare definitivamente ai propri sogni; personaggio bellissimo, questo, interpretato con una verve incredibile da Barbora Boboluva. E poi i ragazzi della scuola, dal carattere quasi inchiodato alle rispettive scelte di look, compreso l’introverso vicino di casa della stessa Jessica. A tal proposito, nota di merito per i costumi ideati da Andrea Sorrentino, già prezioso collaboratore della Canonero vincitrice di un premio Oscar, che con le sue creazioni ha saputo accompagnare benissimo un’altra intuizione non trascurabile di I’m – Infinita come lo spazio: i confini sempre più labili tra trasgressione e conformismo, in una società occidentale che anche dell’apparenza sa fare vorace macchina consumistica.

Stefano Coccia

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