In ogni vita respira il mondo
“Quando il sole è tramontato, quando è tramontata la luna, quando il fuoco è spento, di quale luce dispone l’uomo?”
Massima tratta dall’Upanishad, antico testo sacro indiano, ben serve per comprendere le azioni e la storia del giovane Krishna, protagonista del film. Il quale dovrà affrontare una scelta difficile dai risvolti drammatici pur di mantenere fede a quella piccola luce che lo guida nel buio. Ispirato ad una storia vera, Il vegetariano si fa forte di un linguaggio cinematografico raffinato e potente, che tuttavia non rinuncia ad un taglio realistico, per dare vita ad una narrazione dell’anima e offrire una profonda riflessione circa l’importanza ed il peso che moralità e spiritualità possono acquisire su di noi e la nostra vita. Capace di evocare un cinema d’autore molto difficile da ritrovare in sala oggigiorno, la pellicola ci accompagna in questa storia con grande levità, parlandoci di molto pur sembrando parlare di poco. Nel film una grande importanza hanno le immagini, costruite con grande maestria che dona loro un’aura di sacralità ed avvolge il dramma della storia di un’imperturbabile serenità, ispirando nello spettatore la sensazione di prendere parte ad un evento spirituale più che ad uno spettacolo cinematografico. Persino i silenzi ed i rumori minimi, della natura e dell’uomo, paiono avere un loro ruolo all’interno della pellicola e, sommati al resto degli elementi che compongono il linguaggio dell’opera, suggeriscono un accostamento ai manga di Jiro Taniguchi.
Ma non c’è solo il sacro in questo film, c’è anche il profano. La realtà è indagata e mostrata con un occhio cristallino e attraverso quest’occhio altri temi più terrestri ci vengono presentati. Vediamo dunque l’incontro-scontro tra culture, quella autoctona della bassa padana e quella della numerosa comunità Sikh emigrata dal Punjab e ben inseritasi nel territorio. Scontro anche interno alla comunità Sikh, tra le vecchie generazioni, fedeli alle tradizioni del paese d’origine, e le nuove, meno interessate al retaggio. A questo si collega anche una riflessione circa la situazione socio-economica della bassa padana che si allarga fino a comprendere una riflessione sul sistema della nostra intera società, basata su di un capitalismo rapace che consuma tutto e tutti.
In mezzo a tutto questo si muove il giovane protagonista, latore di una spiritualità e visione del mondo che mal si accorda con alcuni capisaldi della società occidentale, i quali non possono che portare ad una frizione tra necessità di adattamento e fedeltà ai propri principi ereditari. Nella vicenda di Krishna, con la sua fede indefettibile e serena accettazione delle difficoltà sempre più gravose che la sua morale adamantina comporta, possiamo forse ravvisare le forme di una parabola religiosa. Con questo film il regista Roberto San Pietro, già collaboratore di Ermanno Olmi, intrecciando animalismo, filosofia indiana e analisi della realtà contemporanea, più che uno spettacolo ci offre un’epifania dello spirito che non può lasciare indifferenti.
Luca Bovio