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Il sindaco del Rione Sanità

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VOTO: 7

Quando si finisce «con gli occhi aperti»

La prima scritta che compare nei titoli di coda è significativamente il nome di Eduardo De Filippo, quasi a voler ricordare e omaggiare subito l’autore da cui è tratto il film. Ci piace pensare, post visione, che il grande artista partenopeo avrebbe amato questa trasposizione cinematografica. Oggi, con questa nuova ottica suggerita in primis dal lavoro a tavolino ai fini dell’adattamento teatrale, uno dei suoi testi cult può risplendere di una nuova luce, attraendo anche i giovanissimi.
«Antonio Barracano (Francesco Di Leva), “uomo d’onore” che sa distinguere tra “gente per bene e gente carogna”, è “Il Sindaco” del Rione Sanità. Con la sua carismatica influenza e l’aiuto dell’amico medico (col nome parlante Fabio Della Ragione/Roberto De Francesco, nda) amministra la giustizia secondo suoi personali criteri, al di fuori dello Stato e al di sopra delle parti. Chi “tiene santi” va in Paradiso e chi non ne tiene va da Don Antonio, questa è la regola. Quando gli si presenta disperato Rafiluccio Santaniello (Salvatore Presutto), il figlio del fornaio, deciso a uccidere il padre (Massimiliano Gallo), Don Antonio, riconosce nel giovane lo stesso sentimento di vendetta che da ragazzo lo aveva ossessionato e poi cambiato per sempre» (dalla sinossi ufficiale).
«Questo progetto nasce nel gennaio del 2017» ha spiegato Mario Martone «quando mi sono ritrovato in una sala di cento posti nella periferia di Napoli a lavorare con un gruppo, un vero gruppo (si riferisce al NEST di San Giovanni a Teduccio, nda), come quelli a cui avevo dato vita negli anni ’80 (da Falso Movimento a Teatri Uniti) e questo mi dava la sensazione di un nuovo inizio. Gli attori del Nest, a cominciare da Francesco Di Leva, non aspettano che la sorte venga loro incontro con chiamate dall’alto attraverso i provini, ma si rimboccano le maniche». Questo spirito lo si avvertiva già in platea assistendo allo spettacolo e adesso traspare dal grande schermo. Va apprezzata la scelta (non scontata, in particolare da parte dei produttori) di mantenere la maggior parte della compagnia di partenza, che forte dell’esperienza precedente, ha potuto contare su una coesione sincera e un background dei personaggi in cui già si erano calati. Ci si potrebbe interrogare su quale valore abbia oggi la commedia eduardiana e questo lungometraggio lo esplicita perfettamente, sin dalla decisione di fondo di affidare il ruolo di Antonio Barracano a un interprete di quarant’anni (l’autore scrisse il testo a sessanta e continuò a interpretarlo per diversi anni e questo implicava una saggezza e dei toni differenti). Di Leva rende il suo protagonista perfettamente tangibile, puntando sui registri dell’ironia, ma anche di una malinconia amara con cui analizza la società e l’essere umano (senza dimenticare la cura per la forma fisica e l’abbigliamento). Non è un caso che il regista espliciti: «non aspettatevi le illusioni del vecchio Barracano nato nell’800, che ancora consentivano di tracciare dei confini morali: qui affiora un’umanità feroce, ambigua e dolente, dove il bene e il male si confrontano in ogni personaggio, dove le due città di cui sempre si parla a Napoli (la legalitaria e la criminale) si scontrano in una partita senza vincitori. Perché è inutile fingere di non vederlo, la città è una e, per quanta paura faccia, nessuno può pensare di tagliarla in due». Il sindaco del Rione Sanità esplora Napoli sin dai primi fotogrammi, unendo l’aspetto visivo alle orecchiabili parole del brano di Ralph P (anche in teatro l’incipit era affidato al cantante rap proveniente da Scampia) per poi portarci nella casa di don Antonio sfruttando correttamente i vari spazi. È come se il focalizzarsi su una determinata location vada di pari passo con gli atti, ma ovviamente il bello del cinema è la possibilità di esplorare il “fuori”. Innegabilmente si avverte, tanto più in certi momenti, l’origine teatrale, ma nell’accezione più positiva del termine. Chi ha visto la pièce ricorderà l’intenso faccia a faccia tra don Antonio e don Arturo (incarnato da Gallo con eleganza, suonando i giusti accenti del disamore e dell’orgoglio nei confronti della propria onestà), sullo schermo ancora più forte grazie all peculiarità della macchina da presa.
Il sindaco del Rione Sanità di Martone segue la linea tracciata da Eduardo di farci finire con gli occhi aperti. «L’unica cosa che a questo mondo ti guarda in faccia e ti dice la verità, lo specchio», asserisce il sindaco alla finestra (aggiungendo che ce n’è un’altra che non dice bugie, ma ve la lasciamo scoprire guardando e leggendo l’opera). Ecco noi potremmo aggiungere l’arte soprattutto se realizzata con una certa eticità e uno sguardo radicato nella realtà.
L’attualizzazione non è mai fine a se stessa, ma la chiave per comunicare non solo in merito alla nostra realtà e condizione di essere umano, ma anche nel creare un ponte tra le giovani generazioni e il teatro. Alcuni segni sono rimasti come fili rossi tra il palcoscenico e lo schermo (vedi la sensazione di ultima cena imbandita da Barracano), continuando a parlarci e a interrogarci su di noi con un magnetismo palpabile.
Ci preme citare tutti gli altri componenti del cast Adriano Pantaleo, Daniela Ioia, Giuseppe Gaudino, Gennaro Di Colandrea, Lucienne Perreca, Salvatore Presutto, Viviana Cangiano, Domenico Esposito, Armando De Giulio, Daniele Baselice, Morena Di Leva e con l’amichevole partecipazione di Ernesto Mahieux. Spetta agli interpreti rendere vive le parole così autentiche di Eduardo, con qualche licenza (coerente) nel linguaggio e nell’evoluzione dei personaggi.
«Sono gli uomini che si mangiano tra di loro» e tocca a qualche uomo interrompere il corto circuito.
Il sindaco del Rione Sanità è stato presentato in Concorso alla 76esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e sarà distribuito in sala da Nexo Digital solo per tre giorni, dal 30 settembre al 2 ottobre.

Maria Lucia Tangorra

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