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Il sapore del successo

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VOTO: 5.5

La rivincita dello chef

La cibo-mania imperversa e, dopo un vera e propria invasione di programmi tv, format, libri di ricette e rubriche varie , la pornografia culinaria è approdata anche sul grande schermo.
Il sapore del successo, nuovo lungometraggio di John Wells (I segreti di Osage County) su sceneggiatura dell’ottimo Steven Knight (La promessa dell’assassino, Locke) si muove sullo sfondo dello spietato e frenetico mondo delle cucine londinesi per mettere in scena una classica e lineare storia di redenzione e rinascita.
Adam Jones è un cuoco di grandissimo talento, qualità che ha dissipato a causa di uno stile di vita sregolato fatto di droghe, alcool e donne. Caduto in disgrazia,  dopo aver fatto fallire un ristorante a Parigi ed essersi fatto terra bruciata intorno perdendo la fiducia di amici e colleghi, Adam, dopo un periodo passato a ripulirsi, decide di tornare in pista per conquistare la terza stella Michelin, onoreficenza che spetta solo agli déi della cucina. Il nostro chef quindi si attrezza per rimettersi in  gioco e aprire un ristorante a Londra, ma per farlo avrà bisogno di un team di collaboratori d’eccellenza. Inizia così il reclutamento di una squadra ad hoc, assemblata per raggiungere l’agognata terza stella.
Burnt, questo il titolo originale della pellicola presentata anche al Torino Film Festival 2015, è la tipica storia di rivincita personale. La parabola che  Adam Jones percorre per lasciarsi alle spalle gli errori commessi ricalca step by step i cliché del genere, e dal lato della sceneggiatura, quindi, non arriva niente che non discosti da un’onesta narrazione, patinata, ben dosata, ma anche piuttosto prevedibile.
Il ‘bad guy-chef’ Adam Jones è interpretato da Bradley Cooper con veemenza e machismo, ma ancor a meglio fanno i suoi ‘comprimari’, che vanno ad infoltire un cast di prim’ordine, fatto di nomi pesanti e importanti: tra i quali spiccano Sienna Miller e Daniel Bruhl su tutti, senza dimenenticare Omar Sy, Emma Thompson e il nostro Riccardo Scamarcio che se la cava discretamente bene.
Il film di Wells cerca di sopperire alle gabbie del plot con una messinscena che esaspera l’ipertrofismo delle dinamiche della cucina, dove un despota e iracondo chef sembra quasi voler instillare terrore nei suoi cuochi per raggiungere la perfezione. Ma la perfezione, si sa, non appartiene a questo mondo, e l’unica cosa che si può fare è migliorarsi. La cucina, quindi, come metafora del ring della vita: morte e rinascita, costellata da un sentiero ricoperto di spine, dove il nemico è pronto a colpire quando meno te lo aspetti.
A voler essere cattivi, volendo utilizzare ironicamente un termine culinario per definire semplicisticamente questo film, “minestra riscaldata” forse sarebbe quello più appropriato.

Giacomo Perruzza

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