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Il professor Cenerentolo

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VOTO: 5.5

“Il re dei regali sbagliati”

Un pagliaccio in gabbia. E le sue orbite stralunate. Una donna allunata ad una vita di meraviglie al venticinque per cento. Con loro, in mezzo a loro, senza di loro. Un drone per pizzini fraintesi. Una biblioteca di destini incartati. Un’impresa di filmini “in capo” a youtube. Un paradiso di gialli flou, tra carcerieri che si sognano vip e detenuti a passo di musical naif. E ancora tutt’intorno gli asciugamani dei turisti, le guide sub scambiate per rami secchi e i maghinani dell’archiviazione in mega bytes.
Venti anni dopo I laureati Leonardo Pieraccioni (impenitente, cincicamente morbido, dolcemente privo di gravità e gravido di insonnie, con il suo modo di essere regista, sceneggiatore, attore, insieme  compositore ma anche interprete canoro disarmante) arpeggia per i suoi personaggi “oversound” le “rime sbagliate” di una nuova sfida al botteghino, esplosa sulla soglia di un crimine consumato a metà. Da oggi al cinema Il professor Cenerentolo, l’ultimo “colpo” del toscano dagli occhi appesi alle incertezze (in)tollerabili della realtà.
Marchiato dal proprio stesso ciclone, campione di incassi nel 1996 con quello che ancor oggi è il risultato economico più fecondo della storia del cinema italiano. Sempre in bilico tra gergo del principe scalzo ed etichetta del pirata romantico, sempre alla ricerca malinconica e pungente delle particelle elementari della felicità. Quella “all’improvviso”, quella improvvisata, quella aggrappata alla sincerità irrefrenabile di un sorriso. Un altro “fantastico via vai” allora, fatto dei suoi eterni grulli, disarcionati per caso e per necessità, a nuoto o su gommone, travestiti di identità grottesche, nella bocca abborracciate “tutte le lingue del mondo”. Idioti kafkiani quasi innocenti ma lucidamente incastrati nella loro mezzanotte sempre in scadenza. Pieraccioni più scaltro nella più classica commedia di pane amore fantasia ed equivoci.
Un ingegnere (Pieraccioni), detto “il professore”, arrestato per una rapina appena (s)commessa, che ogni giorno esce grazie ad un permesso di lavoro. Un muro da “25” centimetri tra  la figlia adolescente e il papà finepena, detenuto fuori tempo massimo. Un viaggio sospeso tra attori apparentemente sbagliati, dispersi su un’isola carcere, ammucchiati senza trovare posto. Una fata Morgana che si rivela parzialmente de-ficiente e quindi magnificamente pronta all’avventura brancaleonica (Laura Chiatti) col professore menzognero. Compagni di brigata, pietre zigane, spose spericolate, cani rubati, prole ritrovata.
All about the bass. Suonano i “ricordi bagnati” del matt-attore, che si stende al sole agostano per un racconto di formazione, fumetto alla Frank Capra, tradotto da commedia nostrana, confessandosi tra boutade e maturità “re di quei cinema vuoti dove crescono i rami e non trovo mai posto”. Se il film si scioglie in gola, gelato frizzante e bevanda dissetante tra gli scogli aguzzi e corrosi di tanta produzione deteriore dello Stivale, tra le pareti delle sue gag discendenti e dei suoi topos telefonati, il cuore di Pieraccioni si apre immutato, vivido e capace, di stare sullo “sfondo del niente” piangendo sugli asfalti di un cinema mercato inflazionato e di una vita fatta di indifferenze “a forfait”, nella struggente e sì esilarante canzone colonna sonora del film.
Così ci benedice a “piccoli salti”, ripartendo da “un rutto”, il “re”.

Sono il re di me stesso e stasera ho trovato il coraggio di parlarti di me/ Ma sono il re delle rime sbagliate e sottovoce ti dico/ Ho bisogno di te“.
Voto alla canzone 8

Sarah Panatta

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