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Il nemico invisibile

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VOTO: 5.5

Gli insidiosi demoni della vendetta

Sarebbe oltremodo sbagliato definire Il nemico invisibile un film su commissione, girato da un nome illustre come quello di Paul Schrader con la mano cosiddetta sinistra. In primo luogo per il semplice motivo che l’assunto non corrisponde al vero, visto che Schrader stesso ne ha firmato anche la sceneggiatura; ma pure per la presenza ben visibile di determinate peculiarità del suo cinema, lo stesso che ne ha fatto un punto di riferimento per i cinefili dell’intero globo sia come regista che, soprattutto, come autore dello script dei vari capolavori scorsesiani tipo l’immortale Taxi Driver. Alla variegata galleria di personaggi moralmente – e nella fattispecie anche fisicamente, come vedremo in seguito – tormentati possiamo dunque aggiungere l’Evan Lake interpretato da Nicolas Cage secondo i suoi istrionici standard abituali, anche se, obiettivamente, stavolta lo script non gli concede molto margine di movimento.
Facendo qualche cenno alla nuda trama, Cage interpreta un agente CIA di lunghissimo corso, minato da una rara forma di demenza degenerativa che gli ottunde i sensi e preclude alcuni aspetti della memoria. Certamente non l’odio che serba verso Muhammad Banir, terrorista medio-orientale che lo ha torturato a sangue trent’anni prima ed è stato ritenuto morto nel blitz che ha portato alla liberazione dell’ostaggio Evan Lake. Ovviamente niente di più falso, dato che Cage scopre la sua esistenza in vita poiché anche lui vittima di una malattia del sangue, la talassemia, che richiede l’acquisto continuo di farmaci assai costosi. Preparandosi – e preparando gli spettatori – dunque ad una tardiva resa dei conti che diviene una sorta di ossessione esistenziale al crepuscolo. L’idea di partenza, con tali premesse, risulterebbe perciò perfettamente schraderiana: la parabola di un uomo, integerrimo nel suo lavoro, il quale lascia che i germi della vendetta contaminino il proprio, fragile, universo di valori. E infatti a vederlo come saggio antropologico sulla necessità assoluta del rancore più totale insito nel dna umano, se non addirittura propellente per cercare uno scopo tangibile nella terza età della propria vita il film sarebbe anche da considerarsi in parte riuscito. Peccato però che Il nemico invisibile – per una volta un titolo italiano azzeccato sul filo dell’ambiguità: il nemico nascosto è l’odio personale che i due covano, la malattia che alberga in loro oppure la visione politica di due blocchi impossibili da conciliare? – sia un’opera nata vecchia e stanca, non solo per l’età diegetica dei due personaggi principali. La tensione morale affiora ad intermittenza, mentre quella tutta emotiva del thriller, in precedenza costruita a fatica, sbraca totalmente in un doppio finale con pochissimo senso narrativo. Per non parlare poi delle continue trappole tese dalla retorica patriottica più facile, disseminate qua e là nel corso della narrazione e che Schrader stesso non fa nulla per evitare.
Probabilmente il problema principale del film risiede proprio nella sua sin troppo chiara leggibilità, nel desiderio nemmeno troppo velato, da parte del suo autore, di trovare una via maestra ai botteghini internazionali a maggior ragione dopo un’opera squisitamente cerebrale – e perciò destinata al fallimento economico – come The Canyons (2013). Al termine della visione de Il nemico invisibile si resta allora interdetti di fronte ad un film che tradisce in modo scientifico quasi tutte le aspettative di partenza: ci si attendeva un raffinato thriller psicologico su due “nemici” fuori dal tempo e dalla logica mentre al contrario si deve fare i conti con una pellicola superficiale sia nella sua spettacolarizzazione più letterale che, aspetto ancora peggiore, nello scavo interiore di personaggi ridotti purtroppo al rango di macchiette monodimensionali.
C’è solo da sperare che per Paul Schrader si tratti di una parentesi maldestra e non di un effettivo ripiegamento verso un cinema tanto poco propenso al rischio autoriale da rinnegare persino la natura stessa di colui che lo ha partorito. In attesa del futuro, la discesa a compromessi di un autore del calibro di Schrader resta però davvero un brutto segnale…

Daniele De Angelis

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