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Il mostro della cripta

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VOTO: 7

Alien-azione appenninica

Fa senz’altro piacere veder sbarcare in un festival importante come Locarno il nuovo film di Daniele Misischia, già messosi in luce col precedente lungometraggio The End? L’Inferno fuori. E volendo con lavori più brevi, vedi il corto Skull Girl.
In sala dal 12 agosto grazie a Vision Distribution, Il mostro della cripta è un concentrato alquanto arrembante di felici intuizioni, nostalgia anni ’80 e passaggi drammaturgici forse un po’ faciloni. Il repentino spostamento dall’osservatorio astronomico di Roma a un’azzeccatissima ambientazione provinciale, nella fattispecie la così evocativa cittadina di Bobbio a ridosso degli Appennini, è il viatico di un sanguinolento e divertito racconto cinematografico, attraverso il quale Misischia si è esercitato a mescolare tra loro ingredienti diversi e differenti frontiere dell’immaginario. Un po’ come se un autarchico J. J. Abrams fosse piombato dalle parti della Pianura Padana a girare. Venendo in un certo senso a sovrapporre le logiche adolescenziali di Super 8 a un sostrato precedente, laddove l’accento emiliano e il proliferare di personaggi grotteschi, inquietanti, sembrano conservare a volte un timbro alla Pupi Avati.
L’indiavolato intreccio partorito assieme ai Manetti Bros prevede, per l’appunto, la strenua resistenza di un gruppo di teenagers locali alla terrificante situazione, determinata tanto dall’improvvisa sparizione di alcuni coetanei, con qualche macabro ritrovamento a certificare la gravità della minaccia, che dall’operato di una setta raccoltasi attorno a quella misteriosa creatura, risvegliatasi dopo secoli nel paesotto di provincia dall’oscuro passato. In quella stessa cripta, peraltro, della quale solo i sinistri componenti della famiglia Valmont sembrano essere a conoscenza. Proprio a tale famiglia, nell’eterogeneo e assai funzionale cast del film, sono legate alcune delle presenze meglio caratterizzate, ovvero i sulfurei Luigi Monfredini, Gisella Burinato, Arianna Bonardi, Martinus Tocchi e il più “attivo” della comitiva, un Giovanni Calcagno anche qui molto carico. Senza contare l’enigmatica Chiara Caselli, di cui si scoprirà il legame con i Valmont in un crescendo finale vagamente alla Kill Bill
Ecco, il citazionismo finanche eccessivo può essere un limite del lungometraggio, assieme ad alcuni risvolti del plot non del tutto giustificati: si capisce poco, ad esempio, perché la vasca piena di acido corrosivo abbia gli effetti terrificanti che uno si aspetta a volte sì e a volte no. Decisamente meglio quando è l’ironia a fare da collante delle spaventose avventure toccate in sorte ai protagonisti. E con in squadra un attore dai tempi comici fulminanti come Lillo non poteva essere diversamente. Suo il personaggio dello svagato e svogliato fumettista di stanza a Bologna, a rimarcare un altro universo cui Misischia ha guardato con particolare affetto: quello dei Comic Books. E sempre in simpatia, di questa scanzonata operazione vogliamo menzionare l’altro elemento che, sebbene in uno specifico caso Massimiliano Bruno sia arrivato prima, ha saputo ridestare in noi il sorriso di Franti: quella bonaria presa per i fondelli di due miti della sinistra, Francesco Guccini e Nanni Moretti, che esercita ad ogni modo un effetto liberatorio, catartico.

Stefano Coccia

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