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Il dito e la luna

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VOTO: 7,5

A casa mia la coerenza si chiama Bakis Beks

C’è una terra invasa da stranieri non comunitari
Che l’affittano alla NATO ed alle multinazionali
Che ci testano le bombe con cui gli occidentali
Esporteranno la democrazia nei paesi orientali
Hanno occupato luoghi millenari
Avvelenato umani ed animali
Lasciandoli in balia degli effetti collaterali
Delle loro armi sperimentali
Bakis Beks, “Messaggio”

Tra i documentari finalisti dell’Hip Hop CineFest 2024 vi è anche Il dito e la luna, proiettato il 10 maggio presso la Casa della Cultura di Torpignattara, Roma, alla presenza del regista Agostino Marco D’Antonio e del direttore della fotografia Giancarlo Morieri. Ma fino al 19 maggio lo trovate ancora gratuitamente sulla piattaforma Filmocracy. E ne vale davvero la pena, credeteci, sia per il versante musicale che per le lotte politiche e sociali che vi si riflettono.
Le parole con cui abbiamo esordito, “A casa mia la coerenza si chiama Bakis Beks”, appartengono in realtà a un altro baluardo dell’hip hop, Kento, che le pronunciò al termine di un memorabile concerto al CSOA La Strada. Quella serata si era conclusa proprio con “Messaggio”, il brano che al rapper sardo Bakis Beks è costato anche un surreale, grottesco, iniquo, kafkiano processo per oltraggio a pubblico ufficiale.

Sì, perché durante un’esibizione avvenuta a Nuoro nel 2018, alcuni rappresentanti delle forze dell’ordine “casualmente” presenti in quel locale equivocarono (volutamente? Ragionando in modo “andreottiano” sul reale obiettivo di quell’invettiva musicale, ovvero la massiccia e invadente presenza NATO in Sardegna, qualche sospetto può anche venire) un gesto fugace (quel dito medio reso strumentalmente protagonista, quando una mente accorta avrebbe dovuto fissare la Luna) e alcuni versi indubbiamente aggressivi, che però non erano indirizzati alle forze dell’ordine ivi convenute ma a quei poteri forti che negli anni hanno di fatto ceduto l’isola alla sperimentazione di armi nocive all’ambiente (e all’essere umano) nonché a una presenza militare straniera così massiccia da poter essere vista come un’invasione. La reazione della Polizia fu così spropositata da prendere di mira persino alcuni spettatori rei soltanto di aver intonato il ritornello. Farsa Italia!

Il documentario di Agostino Marco D’Antonio ha quindi diversi meriti. Da un lato viene finalmente presentato in modo corretto un caso di cronaca, che su altri media ha rischiato magari di essere distorto. Il regista (al pari del rapper incriminato) ha cura invece di presentare per sommi capi quel quadro socio-politico anomalo, in Sardegna, sui cui squilibri l’operato disdicevole, cinico e in ultima analisi distruttivo delle basi NATO ha pesato finora non poco. Sta qui la motivazione profonda di un processo visibilmente (e rozzamente) strumentalizzato, volendo, mentre le problematiche reali poste all’origine di tutto ciò non salgono agli onori della cronaca, purtroppo, con la stessa facilità. In tempi recenti ci viene in mente giusto, per quanto concerne il cinema di finzione, un bel lungometraggio diretto da Mario Piredda con Luciano Curreli protagonista, L’agnello.
Altra voce importante de Il dito della luna è naturalmente la musica. Canzoni di protesta o inclini a esporre un disagio esistenziale. Rap ruvido e diretto. Ma anche qualche epifania sorprendente: oltre a un’affascinante finestra sull’hip hop proposto “in limba sarda”, il documentario ci ha posto davanti ad ulteriori meriti artistici di Bakis Beks, capace di passare con disinvoltura da brani duri come “Ipocricity” a un sontuoso spettacolo incentrato sugli scritti di Grazia Deledda. Vogliamogli bene anche per questo.

Stefano Coccia

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