Io vi salverò
Mentre proseguono a passo spedito le fasi di sviluppo del primo lungometraggio, i lavori sulla breve distanza di Morad Mostafa continuano a raccogliere consensi e riconoscimenti nel circuito festivaliero internazionale. L’ultimo cortometraggio firmato dal regista egiziano classe 1988 dal titolo I Promise You Paradise ha lasciato il segno anche alla 33esima edizione del Festival del Cinema Africano, Asia e America Latina, laddove è transitato a distanza di un anno circa dall’anteprima mondiale nella line-up della Semaine de la Critique di Cannes 2023. Ed è proprio nel corso della kermesse meneghina che siamo stati travolti dallo tsunami di emozioni che dallo schermo del Cinema Arlecchino si è riversato sulla platea che ci ospitava. Emozioni cangianti, quelle offerte dallo short, che a getto continuo in un sali e scendi della temperatura sono arrivati diritti al cuore nostro e degli altri spettatori presenti.
Impossibile infatti rimanere indifferenti e non lasciarsi coinvolgere dall’odissea umana del protagonista e dei suoi affetti, alla base della quale c’è un dramma su larghissima scala che riguarda milioni di persone a tutte le latitudini, costretti a scappare dalla propria terra d’origine. Nei venticinque minuti a disposizione dell’autore si consuma un capitolo della lotta per la sopravvivenza del diciassettenne Eissa, migrante africano in Egitto, che in seguito a un violento scontro in cui ha perso i suoi amici trova inizialmente rifugio in una chiesa copta del Cairo per poi essere costretto a vagare per la città insieme alla compagna e alla sua bimba appena nata. Eissa vuole salvarle a tutti costi dalla miseria e farle raggiungere il “paradiso”. Ciò significa fuggire dall’inferno passando per il purgatorio nella speranza di una nuova vita altrove. Come è facile immaginarlo, ma lasciamo comunque alla visione dell’opera la conferma.
La sinossi suggerisce l’ennesima storia dura e cruda di sopravvivenza, legata a doppio filo alla tragedia infinita della migrazione clandestina e forzata che non fa sconti a nessuno, della quale la Settima Arte e l’audiovisivo in generale si stanno occupando con sempre più insistenza, spesso in maniera superficiale e banale. Pochissime sono in effetti le volte che si è riusciti a trattarlo evitando stereotipi e cliché, conseguenza diretta e inevitabile di una letteratura incentrata su una materia fin troppo abusata. Fortunatamente non è il caso di I Promise You Paradise che, in un arco narrativo più ristretto rispetto ad esempio a Io Capitano, affronta il tema stando attento a tenersi a dedita distanza dalle sabbie mobili che hanno inghiottito in passato e più di recente tantissimi registi e sceneggiatori che credendo di trovare terreno fertile hanno deciso di confrontarsi faccia a faccia con l’argomento in questione sottovalutandone l’enorme coefficiente di difficoltà. Mostafa dal canto suo non ha ascoltato il richiamo delle sirene e si è approcciato alla materia prima con intelligenza e sensibilità. Lo ha fatto trasformando il suddetto tema nella tela sulla quale ha cucito si una storia di immigrazione, ma che parla in primis di amore e legami affettivi.
Si giunge così a un epilogo toccante in cui tutto il magma incandescente confluisce per dare al fruitore l’ultimo e potentissimo pugno alla bocca dello stomaco, di quelli che lasciano senza fiato. Ad armare il braccio, rendendo il colpo ancora più incisivo, è il livello di realismo e verità raggiunto dalla messa in scena e dalla confezione (meritevole di attenzione la fotografia di Mostafa El Kashef), ma soprattutto dalle interpretazioni dei non attori chiamati in causa, capaci con silenzi strazianti e primi piani di un’intensità devastante di comunicare un universo intero di emozioni, sensazioni e stati d’animo. Consigliamo agli addetti ai lavori di segnarsi i nomi di Kenyi Marcellino e Kenzy Mohamed, perché siamo sicuri che se ne sentirà presto parlare.
Francesco Del Grosso