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Husband Material

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VOTO: 6

Torrenti di lacrime scendono dagli occhi

L’ultimo ballo della 18esima edizione del River to River Florence Indian Film Festival non poteva che essere affidato che a Husband Material, scelto dalla direzione artistica della kermesse toscana come film di chiusura. Una scelta, quella di puntare sulla nuova pellicola di Anurag Kashyap, proiettata lo scorso settembre in anteprima al Festival di Toronto 2018, motivata da una parte dalla presenza tra i tanti ospiti che si sono succeduti al Cinema La Compagnia dell’attrice protagonista Tapsee Pannu, dall’altra perché inscrivibile nel genere per antonomasia della cinematografia indiana. Quella firmata dal prolifico sceneggiatore, produttore, attore e regista, già ospite di River to River nel 2012 e largamente riconosciuto come uno dei registi indiani più influenti degli ultimi tempi con all’attivo un’ottantina circa di titoli, è infatti la classica commedia romantica in salsa Bollywood dal ritmo incalzante che racconta l’immancabile triangolo amoroso tra lei, lui e l’altro. Quest’ultimo è Robbie Bhatia (interpretato da Abhishek Bachchan che tra i componenti del terzetto protagonista è quello più continuo) che torna nella propria città natale per trovare una compagna e finirà con l’innamorarsi perdutamente di Rumi, la donna che diventerà sua moglie. Intanto, Rumi, spirito libero e irrequieto, si sforza di trovare il vero significato dell’amore e di imparare ad adattarsi ad una nuova vita. Quando il suo passato torna a galla e minaccia di mandare all’aria il matrimonio, la ragazza è costretta a scegliere cosa vuole davvero il suo cuore.

Insomma, come avrete avuto modo da intuire dalla lettura della sinossi in Husband Material non manca all’appello nessuno degli ingredienti tipici e imprescindibile del suddetto filone, tanto nello script quanto nella sua messe in quadro, dove a riguardo c’è da registrare un quantitativo piuttosto ristretto di sezioni coreografiche, concentrate principalmente nella primissima danzeresca parte della timeline (viene meno persino la solita reunion finale che precede o accompagna i titoli di coda), a differenza invece di quelle canore che copiose sono onnipresenti. Il triangolo amoroso fatto di continui tira e molla, illusori momenti di complicità e dolorose contese interiori, bugie e fughe, lacrime e sorrisi, passione e struggimento, va a comporre lo spartito narrativo e drammaturgico di un’orchestrazione le cui varianti reiterate, collaudate e codificate come un usato garantito, non regala nulla di nuovo e originale sul versante del plot. Ma questo andava già messo in conto all’inizio, tanto che ormai non può e non deve essere letto come una discriminante in fase analitica. Di fatto, l’assenza di elementi inediti nella storia e nelle one lines di coloro che la animano non ha influito in nessun modo sul nostro giudizio. Eppure quel finale del tutto inaspettato, che ovviamente non vi riveleremo, che arriva dopo la bellezza di 150 e passa minuti (un’eternità ingiustificata se si pensa alle reali esigenze del racconto e allo sviluppo dei personaggi), è una piacevole sorpresa che merita di non passare inosservata.

Per il resto, Husband Material rientra nell’ordinario di un filone che vuoi o non vuoi riesce comunque a tenere lo spettatore a sé grazie al ritmo incalzante a suon di musica punjabi, alle punte di melò e dramma che si intrufolano qua e là, ma soprattutto all’esplorazione dei bei colori e della vibrante cultura di Amritsar. Il tutto per parlare con toni più leggeri ma non irrispettosi di un tema delicato e discutibile come quello del matrimonio combinato.

Francesco Del Grosso

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