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Hugo en Afrique

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VOTO: 8

L’omaggio a Pratt parte dal Corno d’Africa

Di recente CINEMA SVIZZERO A VENEZIA #10 – Winter Edition ha voluto rendere omaggio a Hugo Pratt, proponendo un programma interamente dedicato al celebre fumettista, disegnatore e scrittore, legatissimo per l’appunto alla città di Venezia. Ad offrire l’opportunità di un simile tributo è stata la filmografia di un cineasta ticinese, Stefano Knuchel, il quale ha già realizzato – a distanza di anni l’uno dall’altro – due capitoli della trilogia dedicata al creatore di Corto Maltese: Hugo en Afrique (2009) e Hugo in Argentina (2021), dove si è divertito a seguirne le tracce lasciate nel Continente Nero e a Buenos Aires, durante quelle esperienze di viaggio (e più in generale di vita) fondamentali per la formazione di Pratt. Un “ritratto dell’artista da giovane”, quindi, in previsione del 2023 quando l’episodio conclusivo della trilogia, Hugo a Venezia, vedrà finalmente la luce.

Partiamo proprio dal primo dei due documentari realizzati da Stefano Knuchel. E quindi dal cosiddetto Corno d’Africa.
Hugo en Afrique ovvero L’infanzia africana di Hugo Pratt comincia con immagini dal sapore misterico e una voce fuori campo che recita queste parole, già in parte rivelatrici: “Alla morte di Hugo Pratt nel 1995 gli furono resi numerosi omaggi. Si è parlato di un grande artista e di un grande avventuriero, ma nessuno ha detto che al momento della morte stringeva nella mano sinistra una croce etiope.
Ebbene, il mistero di tale croce etiope potrebbe essere considerato il MacGuffin di uno storytelling circolare, che accompagnerà lo spettatore alla scoperta dell’infanzia di Pratt in terra d’Africa, della sua partecipazione da giovanissimo agli eventi della Seconda Guerra Mondiale, dei numerosi viaggi compiuti in paesi come Gibuti o l’Etiopia anche al termine dell’epoca coloniale, nonché dei legami strettissimi tra la sua biografia e le opere che l’hanno reso immortale. Fino all’ultima apparizione, in punto di morte, del manufatto a forma di croce, così importante per i Copti della regione.

Hugo Pratt diceva che ogni vita può essere raccontata in almeno 13 modi diversi, ma che non vi è certezza che uno di questi sia vero. Noi, come avrebbe fatto lui, abbiamo scelto il settimo: la vita è un labirinto, che si sovrappone a molti altri labirinti. Vi chiedo dunque di prestare attenzione, nel seguire i miei passi. Dovessimo perderci, vi basterà ricordare la croce etiope, che Hugo Pratt stringeva nella mano sinistra“: così riprende il filo quella voce fuori campo, che ha assunto nel mentre toni sempre più sinuosi.
Sinuoso, tortuoso, sospeso tra tempi e luoghi diversi, è difatti il tragitto attraverso cui ci accompagna Stefano Knuchel. Fortini da western africano persi nel cuore del deserto, personaggi semi-leggendari ma al contempo assai pragmatici della Gibuti odierna, la presenza quasi malinconica della Legione Straniera, il fascino delle uniformi contrapposto in modo stridente alla brutalità della guerra rievocata nei ricordi. Sono queste alcune delle straordinarie immagini che il lavoro del documentarista ticinese colleziona. Continuando poi a sovrapporre con profonda armonia differenti piani spazio-temporali: vi sono le testimonianze audiovisive più “antiche”, tra cui quelle così magnetiche realizzate nel 1981 da Jean Claude Guilbert (altro demiurgo imprescindibile di questa esotica spedizione) e Michèle Tournier, ovvero La ballade plus loin, il precedente documentario che vedeva lo stesso Pratt in campo, a raccontarsi e a guidare i sodali di allora tra presente, passato prossimo e memorie più stratificate dell’Africa un tempo italiana. I collaboratori più stretti dell’artista sono poi tornati in quei luoghi al seguito di Stefano Knuchel, per rintracciare altre tessere del complesso mosaico. Quando però ad animarsi (molto elegante il lavoro svolto in post-produzione) sono le tavole stesse dei fumetti di Pratt, in primis Gli Scorpioni del deserto, la distanza tra Storia e Mito si assottiglia ancora di più. Ondeggiando all’orizzonte, come una Fata Morgana.

Stefano Coccia

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