Il dolore più grande
La 23esima edizione del Festival del Cinema Europeo ha ospitato un omaggio sentito e doveroso alla cinematografia ucraina, proiettando alcuni lungometraggi di recente produzione tra cui How is Katia? di Christina Tynkevych, presentato in concorso alla kermesse leccese dove si è aggiudicato il Premio Speciale della Giuria. Un riconoscimento, questo, meritatissimo visti i valori espressi da un’opera prima che lascia il segno, lo stesso che ha lasciato precedentemente sugli schermi del Festival di Locarno dove ha vinto il Premio Speciale della Giuria Ciné+ e il Pardo per la Migliore Interpretazione Femminile nella sezione “Cineasti del Presente”. Proprio quest’ultimo, ossia quello attribuito alla potentissima performance davanti la macchina da presa di Anastasia Karpenko, rappresenta il valore aggiunto del film. L’attrice di Kiev regala all’opera e di conseguenza alla platea che ha avuto e avrà la fortuna di vederla un’interpretazione da brividi, capace di restituire tutte le emozioni cangianti e i livelli d’intensità del complicatissimo personaggio che le è stato affidato.
La Karpenko si è calata nei panni di Anna, un paramedico di 35 anni e madre single della dodicenne Katia. Convivendo con l’anziana madre di Anna e una sorella maggiore, tutte stipate in un piccolo condominio, la famiglia conduce una vita modesta. Una mattina, mentre Anna sta per lasciare Katia a scuola, scendendo dall’autobus la ragazzina viene investita da un’auto e finisce in coma. Al volante c’è Marina, una giovane ragazza di una famiglia benestante con le giuste conoscenze. La madre di Marina è una candidata sindaco locale, che tenta in modo rapido ed efficiente di nascondere sotto il tappeto quanto accaduto. Inizialmente, mentre Anna cerca di aiutare la figlia in ogni modo possibile, la famiglia riesce a concludere un accordo in cambio della libertà di Marina.
How is Katia? è un film sul rapporto madre figlia che una volta raggiunto il suo tragico punto di non ritorno pone al centro del plot un terribile dilemma morale, che ne cambia totalmente pelle narrativa e drammaturgica allargando i proprio orizzonti ai temi del lutto, del senso di colpa, della vendetta e anche alla malagiustizia e alla corruzione. Questo processo di mutazione alza ulteriormente la temperatura emotiva e il grado di coinvolgimento della vicenda narrata, consegnando allo spettatore di turno un lento e inesorabile inabissamento in un dolore lacerante davanti al quale non si può rimanere indifferenti. Un dolore che la Tynkevych racconta e rende tangibile incollandosi con la cinepresa alla sua protagonista con pedinamenti in piani sequenza e ai primi piani di Anna che da soli ne restituiscono il crescendo sino all’implosione.
Francesco Del Grosso