Prolisso e confuso racconto di una tragica faida familiare
L’incontro tra Maurizio Gucci (Adam Driver) e Patrizia Reggiani (una bravissima Lady Gaga) è come tanti altri: casuale, ad una festa di amici. Meno comune è la caratura della famiglia di Maurizio, trattandosi di quei Gucci che, fin dagli anni ‘50, hanno messo in piedi un impero della moda famoso in tutto il mondo. A Patrizia, di origini certamente modeste, non sembra vero entrare in qualche modo in questa sorta di universo fatato. Fa presto la conoscenza del futuro suocero, l’ex attore Rodolfo (Jeremy Irons) senza però ottenerne le simpatie. Al contrario, lo zio di Maurizio, Aldo (Al Pacino) la trova piacevole ed affascinante e, avendo poca stima di suo figlio Paolo (Jared Leto), preferirebbe che fosse proprio il nipote ad aiutarlo negli affari di famiglia. Sotto le insistenti pressioni di Patrizia, la coppia, che intanto si è sposata, vola a New York, iniziando ad essere coinvolta più profondamente nel business Gucci. Questa sorta di favola moderna inizia però a mostrare i connotati di una faida nobiliare d’altri tempi con l’inizio dei ruggenti anni ‘80. Paolo è scontento della posizione poco valorizzata che riveste, desiderando a tutti i costi far partire una propria linea di prodotti, pensando di possedere un inesistente talento. Patrizia ne approfitta, iniziando a tessere le sue trame, e mette Paolo contro il padre, convincendolo a passare agli scrupolosi agenti americani le notizie sulle ingenti quantità di soldi che Aldo ha frodato al fisco. Lo scopo finale dell’ambiziosa donna è accentrare tutte le azioni Gucci nelle mani del marito, così da poter finalmente dominare l’impresa incontrastata. Maurizio, pur appoggiando gli efficaci piani della moglie, decide che in qualche modo il conflitto commerciale che si è scatenato sta conducendo il marchio alla rovina. E decide dunque di lasciarla, sottovalutandone il carattere vendicativo e feroce. Tutto è pronto per il tragico finale che spazzerà via l’intera dinastia di imprenditori.
Ridley Scott ha lavorato molto a House of Gucci, evidentemente affascinato da una tragedia familiare in cui si mischiano passioni, denaro, tradimenti e sangue. La sua attenzione per la ricostruzione storica è encomiabile: fotografia, scenografia, veicoli e oggetti d’epoca, attenzione maniacale ad abiti, acconciature, accessori e gioielli.
Si riesce certamente a respirare il profumo di un decennio che oltre a un grande benessere, recava la promessa di ulteriori successi e guadagni, un momento in cui si aveva l’impressione che tutto potesse accadere. Questa società rampante, che nascondeva semi di decadenza, sembra così tanto ossessionare il regista da indurlo a crogiolarsi più nella rievocazione materiale che a badare alla compattezza del racconto. E’ un film, come purtroppo accade sempre più spesso, decisamente troppo lungo, addirittura due ore e quaranta minuti che potevano essere certamente scremati, in particolare per quanto riguarda la prima ora. Invece che la storia di una famiglia di successo, in cui un’astuta donna riesce ad insinuarsi scatenando una guerra, sembra di vedere una costosissima soap opera, con dialoghi e situazioni da romanzetto rosa: l’incontro, i primi appuntamenti, il corteggiamento felice, il rifiuto di Rolando Gucci che non vuole “un’arrampicatrice” in casa (e non aveva torto!), il matrimonio desiderato ad ogni costo. Le cose migliorano un poco quando i due si trasferiscono a New York, cominciando a tinteggiare le tensioni che covano dietro le quinte. Ma se Al Pacino, pur gigioneggiando troppo, offre comunque un’interessante versione dello zio Aldo, convince meno la caratterizzazione al limite del farsesco del cugino Paolo, con Jared Leto continuamente impegnato ad interpretare quella che pare una caricatura, con la voce squillante e malferma, i capelli perennemente arruffati, la sigaretta sempre in bocca e gli abiti di dubbio gusto. Non è chiaro soprattutto il carattere che si è voluto dare a Maurizio, dipinto inizialmente come un giovane idealista, perfino disinteressato a far parte del dorato mondo della moda, quindi come cinico uomo d’affari, spietato complice di Patrizia, poi come uomo disgustato dall’arrivismo della donna. Oltre ad esserci altri momenti in cui la noia prende il sopravvento, a causa di una sceneggiatura in cui non si capisce mai bene cosa succede realmente in azienda, è la narrazione ad essere confusa. Le incongruenze sono molte, inutile citarle tutte qui, ma se è vero che al cinema non si deve pretendere di vedere un documentario, è altrettanto vero che molti degli avvenimenti sembrano accadere a distanza molto ravvicinata tra loro, quando nella realtà non è andata così, oppure sembrano avere luogo nel periodo sbagliato. Gli anni ottanta si confondono con gli anni novanta e sono davvero poche le volte in cui una didascalia ci informa in che momento ci troviamo. Senza contare poi una enorme “licenza” che si concede Ridley Scott, ovvero quella di far incontrare Maurizio con la futura compagna Paola Franchi (Camille Cottin) quando ancora il matrimonio con Patrizia Reggiani è in piedi, mostrando addirittura le due donne che si affrontano. Nella realtà, la separazione tra Maurizio e Patrizia era avvenuta già nel 1985, anni prima che l’imprenditore iniziasse a frequentare la Franchi. C’è anche un’altra grande assente in questa vicenda, che è la città di Milano, la residenza dei Gucci. Il film infatti è stato quasi interamente girato a Roma, il palazzo meneghino di Maurizio “trasferito” nello splendido quartiere Coppedè. Insomma è un film molto lungo, pieno di dettagli non sempre utili che, al contrario, sembra incespicare proprio quando un po’ di focalizzazione in più sul susseguirsi degli eventi avrebbe giovato allo spettatore. Non sono ben delineate neanche le dinamiche finanziarie interne all’azienda, affidate in larga parte a dialoghi opachi e tante inquadrature di bei vestiti e penne d’oro.
Forse troppa carne al fuoco, per un enorme sforzo produttivo nel dipingere un elaborato affresco storico che, però, regala poche emozioni.
Massimo Brigandì