Survivor movie ruvido, secco ed essenziale
Il pezzo su Hostile che andrete ora a leggere è stato da me precedentemente pubblicato sulla rivista TAXI DRIVERS, avendo fatto parte dello speciale sul Ravenna Nightmare. Ringrazio perciò tale redazione per l’opportunità di poter “bissare” la pubblicazione qui su CineClandestino, essendo stato proiettato il film anche in occasione del festival triestino, Science + Fiction, di cui ci si sta adesso occupando.
Per Hostile di Mathieu Turi, giovane cineasta transalpino nativo di Cannes (quando si dice un segno del destino), si potrebbe parlare volendo di una piccola tournée italiana: il film, infatti, è approdato al Ravenna Nightmare dopo essere passato anche per Trieste, a Science + Fiction. E in entrambe le cornici pare che abbia lasciato il pubblico abbastanza diviso. Non solo. Da alcune chiacchierate informali con singoli spettatori e addetti ai lavori, il sottoscritto ha tratto un po’ lapalissianamente l’impressione che il pubblico femminile ne abbia gradito di più il versante romantico, sentimentale, mentre da parte maschile è stato l’apprezzamento per gli scenari post-apocalittici a prevalere. Con le eccezioni del caso, ovviamente. Ma questo susseguirsi di dicotomie trova in realtà conferma nella natura bipolare del lungometraggio stesso.
Co-prodotto da un astro nascente del cinema di genere come Xavier Gens, la cui maturazione artistica è stata del resto confermata da quel piccolo capolavoro che è Cold Skin, il film che Mathieu Turi ha realizzato attingendo a un budget tutto sommato modesto ha senz’altro un merito: quello di esordire quale survivor movie ruvido, secco, essenziale, che sa creare interesse attorno alle peregrinazioni di un’agguerritissima giovane donna, nei paesaggi devastati e brulli dove vediamo aggirarsi sanguinarie creature mutanti. Qui l’azione sembra prevalere sul resto, grazie anche alla terrificante odissea notturna causata dal brutto incidente cui va incontro la jeep della protagonista.
Ma ben presto il “bipolarismo” di cui sopra comincia a farsi strada. La lotta per la sopravvivenza intrapresa dalla ragazza, Juliette, si alterna infatti a una serie di flashback che illustrano la vita di lei, a New York, poco prima dell’evento catastrofico da cui viene colpita l’umanità. Ed al centro di quell’esistenza già abbastanza irrequieta vi era proprio la storia d’amore, con il fascinoso uomo da lei incontrato in una galleria d’arte e proveniente quindi da un ben diverso ambiente sociale. Poiché anche la nostra Juliette aveva all’epoca il suo “romeo”. E come si apprende da queste brevi finestre sul passato, l’inasprirsi di una loro profonda e inattesa crisi sentimentale aveva finito quasi per coincidere con le prime fasi del letale contagio…
La risultante di questo azzardo narrativo è quindi un film a due facce, per cui a un’estetica spigolosa e brutale alla Mad Max si alternano di continuo momenti alla Sex in the City, immaginati qualche anno prima nel cuore della stessa grande metropoli che l’Apocalisse incombente, da lì a poco, flagellerà senza lasciare scampo. Il giochino in sé è interessante. Anche se a tratti lo script vacilla, principalmente per via della scarsa attenzione rivolta dal regista a quel momento chiave, in cui misteriosi attentati spingono l’umanità sull’orlo dell’abisso e la condizione stessa dei protagonisti muta all’improvviso. Così come muterà l’aspetto fisico di uno dei due amanti. Se dal punto di vista della scrittura e della costruzione dei personaggi (non così incisivi, anche in virtù di un cast tutt’altro che memorabile) si intuisce che Mathieu Turi debba ancora affinare il mestiere, molto promettente è il suo sguardo, che nelle scene di maggior tensione riesce poi a regalare una regia pulita e un ritmo sufficientemente incalzante.
Stefano Coccia