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Ho ucciso Napoleone

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VOTO: 7

Al di là di ciò che sembra

“Siamo donne, oltre alle gambe c’è di più”: era questo il ritornello che era venuto in mente durante la visione dell’opera prima di Giorgia Farina, Amiche da morire, ed è proprio in questo solco che s’inserisce la sua seconda pellicola, presentata in anteprima al Bif&st e in sala da giovedì 26 marzo. Con Ho ucciso Napoleone, la regista romana ci mostra un aspetto della donna che non solo il cinema italiano, ma in generale il nostro Paese, fa fatica a vedere e a prendere in considerazione, incasellando il genere femminile in stereotipi convenzionali come la mamma premurosa o la donna libertina (che spesso corrisponde a “poco di buono”).
Protagonista della pellicola è Anita (Micaela Ramazzotti), una donna che ha costruito una corazza, diventando sempre più glaciale come un «sofficino surgelato». Se nella vita privata, non avendo ottenuto quello che sperava dai suoi genitori, ha deciso di andare in sottrazione sul piano alimentare; in quella lavorativa ha optato per obiettivi sempre più grandi, il suo motto è puntare in alto, ma ciò che colpisce è che anche qui la sua rappresentazione non è quella canonica, è un arrivismo interiorizzato, basato su qualità reali, che ad un tratto esplode con classe per via di un evento scatenante.
Nell’arco di 24 ore, infatti, la sua vita viene completamente scombussolata da un fatto naturale – l’essere rimasta incinta – e da quella conseguenza che ha provocato (o almeno lei così crede, e anche noi): l’esser stata licenziata. Sarà questa la molla che farà scatenare un piano di vendetta verso Paride (Adriano Giannini), il suo amante, ma come spesso accade non tutto è come sembra. Questo suo progetto avvolgerà più di una persona e come un boomerang anche lei stessa, ma non come potremmo immaginare. A coadiuvarla nel progetto ci sono un avvocato, Biagio, interno all’azienda dove Anita lavorava e un gruppo di donne – che richiama la solidarietà che si era instaurata tra tre donne completamente diverse in Amiche da morire – capitanate da Olga (Elena Sofia Ricci), un’altra donna, che ha perso il lavoro. In Ho ucciso Napoleone troviamo un Libero De Rienzo diverso dai ruoli in cui l’abbiam visto fino ad ora e lo è ancor più Micaela Ramazzotti, perfetta nel rappresentare il cinismo sulfureo e l’anaffettività del suo personaggio. I costumi di Maria Rita Barbera la fanno calare ancor più in quei panni di donna attenta a calcolare tutto, dal look al modo di camminare, pignola persino sulla posizione degli oggetti, supportandola anche in quei “tic” che caratterizzano Anita.
Continuando sulla linea da commedia nera del suo primo lungometraggio, la Farina costruisce con Federica Pontremoli (la co-sceneggiatrice) una struttura a incastro molto buona, con qualche piccolo calo a tre quarti del film, ma complessivamente ben funzionante anche nel meccanismo dei colpi di scena, mai banali e inseriti al momento giusto. Se in Amiche da morire richiamava, omaggiando nel suo piccolo e con piglio personale, le atmosfere di Sergio Leone, qui si rifà a modelli americani e inglesi. Le due donne scrivono un plot che segue l’evoluzione della protagonista, senza però (s)cadere nella retorica o in soluzioni facili e buoniste, non c’è paura di mettere in campo la cattiveria a cui può arrivare la donna se ferita e colpita nell’orgoglio e al cuore. Anita si ammorbidisce, ma anche qui nulla è scontato…
Man mano che la storia si dipana i toni diventano sempre più grotteschi e si mescolano con note thriller, il tutto manifestato anche con precise scelte stilistiche. Va sottolineata la capacità attoriale, soprattutto della Ramazzotti, di interpretare un personaggio sopra le righe senza dar vita a una macchietta. La Farina ha visto in colei che aveva interpretato una donna desiderosa di essere la migliore delle mamme ne La prima cosa bella di Paolo Virzì (che le è valso il David di Donatello e il Nastro d’Argento come Miglior attrice protagonista – quest’ultimo ex aequo con Stefania Sandrelli) delle corde completamente opposte e l’attrice ne è stata all’altezza. Citiamo che dietro ad Anita c’è un folto gruppo famigliare, particolare e anche molto attuale, ma ve lo lasciamo scoprire guardandolo.
Come se fossimo in un gioco teatrale – per quanto al cinema sia basilare l’idea dei ruoli – ognuno di loro, uomini e donne, indossa delle maschere; ma se Ho ucciso Napoleone ci ha fatto pensare ancor più alla scatola magica è per alcune sfumature dei protagonisti e il modo con cui si tematizza il “doppio”, oltre che per i registri utilizzati.
Giorgia Farina si conferma una regista da non perdere di vista, che cerca di creare un proprio codice (riconoscibile), facendosi contaminare da humus stranieri, ma senza dimenticare le radici nostrane della commedia popolare. Con ciò non vogliamo dire che sia un’opera perfetta, ma è frutto di un’artista in evoluzione, che prova a mettersi in gioco e, crediamo, anche a mettere alla prova lo spettatore rischiando, tirando un pochino la corda, certo col desiderio di farlo divertire provando a far vedere sfaccettature diverse.
Una piccola nota va al titolo, divertente, che (dopo aver visto il film) richiama il senso di responsabilità, ma Amiche da morire era, forse, più rappresentativo dell’intera pellicola e un po’ meno criptico.

Maria Lucia Tangorra

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