Il gigante e la farfalla
Il documentario, tra i tanti altri compiti che spettano di diritto a questa ingiustamente trascurata (in Italia) forma di cinematografia, può anche avere una decisiva valenza nell’ambito della memoria. Con il preciso obiettivo di mantenere vivo il ricordo del passato o addirittura far scoprire un fondamentale approccio al cinema per le nuove generazioni. E proprio questo è lo scopo che si prefigge Hitchcock/Truffaut, presentato nella sezione Omaggi della decima edizione della Festa del Cinema di Roma. Il film di Kent Jones riporta le lancette del tempo indietro fino al 1962, allorquando nacque un rapporto, prima epistolare poi diretto, tra Alfred Hitchcock e François Truffaut. Due mondi diversi entrati, per certi versi sorprendentemente, a contatto sempre più stretto. Il primo al tempo considerato indiscusso maestro di un cinema d’intrattenimento ma tutt’altro che in possesso delle stimmate autoriali; l’altro giovane regista d’avanguardia di un cinema alla ricerca dell’interiorità dei sentimenti e con un passato-presente di critico cinematografico duro e puro per i Cahiers du Cinéma. Nulla avrebbe lasciato presagire ciò che sarebbe accaduto da lì in avanti, con l’investitura ufficiale di Sir Alfred ad artista senza pari nel mondo del Cinema, culminata con la pubblicazione del testo sacro per ogni cinefilo che si rispetti “Il cinema secondo Hitchcock”, ovvero il resoconto splendidamente arricchito dei dialoghi tra Hitchcock e Truffaut avvenuti proprio in quella lontana settimana di oltre cinquant’anni orsono.
Fu proprio quel libro a far comprendere al meglio la stratificata complessità del cinema di Hitchcock. L’erotismo velato – e perciò ancora più efficace – in un’epoca dove tutto era ancora lasciato all’immaginazione, alla duplicità di senso dell’immagine. Il senso di colpa impossibile da soffocare, autentico motore narrativo di ogni suo giallo puro o thriller al calor bianco. La curatissima composizione di ogni singola inquadratura, dove qualsiasi minimo dettaglio non poteva assolutamente essere lasciato al caso. Per non parlare dello sperimentalismo in sede di regia, con trovate all’epoca tanto artigianali (vedere ad esempio il significativo uso dei trasparenti posti alle spalle degli interpreti) quanto parte integrante della narrazione filmica. Un altro Cinema che ha formato generazioni su generazioni di importanti cineasti contemporanei, come ben dimostrano le interviste effettuate da Kent Jones e mostrate nel corso del film. Anche da parte di autori che in teoria poco o nulla dovrebbero condividere con il campo d’azione hitchcockiano, come ad esempio un Wes Anderson che invece afferma di aver imparato proprio da lui la massima cura per ogni ripresa. O anche il geograficamente – e non solo – lontano Kiyoshi Kurosawa, il quale dal Giappone dichiara che il livello del cinema di Hitchcock è così elevato da non poter mai essere neppure avvicinato da lui o da altri. Tutte le voci, insomma, da Scorsese a Fincher, da Desplechin a Gray, non fanno altro che ribadire il loro amore verso colui che in qualche modo ha permesso loro di perfezionare la loro preparazione sia tecnica che “morale”, quando non avergli dato addirittura la motivazione iniziale per intraprendere quella strada nel cinema.
Hitchcock/Truffaut, come si sarà capito, è un documentario d’impostazione molto tradizionale, composto dall’alternanza di immagini d’epoca a interviste di ieri e di oggi. Nonché di un interessante numero di aneddoti che faranno scoprire aspetti inediti dei due, anche se il film è prevalentemente incentrato sulla figura di Hitchcock. Ma è un’opera capace anche di suscitare grande empatia quando mette a confronto il gigante di una Settima Arte che ha saputo abbinare la spettacolarità ad una perfezione linguistica senza pari e la farfalla di un cinema aereo e sfuggente, il quale, dedicandosi allo studio critico del collega, ne ha definitivamente ingentilito la sagoma minacciosa. Momenti da ricordare quando il documentario riflette visivamente sull’emozione di un Hitchcock ormai anziano intento a ricevere un prestigioso tributo propiziato proprio dalla “revisione” critica di Truffaut e compagni; oppure la commozione percepibile che accompagna la prematura scomparsa dello stesso Truffaut, avvenuta a soli quattro anni di distanza dalla morte del ben più anziano Alfred Hitchcock. Quasi che un Destino cieco e bizzarro avesse voluto riunire due amici legati dalla più alta forma di stima e cordialità, quanto prima possibile.
La visione di Hitchcock/Truffaut resta comunque un bel modo per ricordarli, definitivamente, assieme.
Daniele De Angelis