I segni della guerra… guardando al futuro
La Settima Arte dimostra ancora una volta come possa essere una risorsa nel farci scoprire storie, anche quelle che dovremmo conoscere, ma – purtroppo è spiacevole notarlo – spesso e volentieri si diffonde più ciò che non va – o non è andato – che vicende che andrebbero conosciute e tramandate.
«La storia di Mario Capecchi, nato in Italia e cresciuto negli Stati Uniti, richiama l’attenzione su molte inquietudini che caratterizzano la nostra epoca. Con il suo esempio e la sua tenacia, infatti, Mario offre una possibile risposta rivolta a credere nel futuro, a dispetto delle condizioni più avverse» (dalla nota ufficiale). Presentato come film d’apertura alla XIII edizione del Bif&st, dobbiamo dire grazie a Hill of Vision di Roberto Faenza (e a chi ha permesso di realizzarlo) se questa storia è venuta alla luce ai più.
Non nascondiamo che, complice ciò che stiamo vivendo sul piano storico e l’atmosfera della prima serata con l’incipit da “Promemoria” di Gianni Rodari ad opera del direttore Felice Laudadio, assistere a Hill of Vision ha assunto una pregnanza e un ‘contraccolpo’ ancora più forti.
Nel 1941 Mario è un bambino di 4 anni. Sua madre Lucy Ramberg (una Laura Haddock determinata e – in base alle conseguenze della guerra – toccante e intensa), americana cresciuta a Firenze, è una militante antifascista, e si è trasferita sull’altopiano del Renon, vicino a Bolzano, per essere meno ‘visibile’. Luciano Capecchi (reso molto credibile da Francesco Montanari, sia nei momenti in cui vorrebbe educare il figlio alla ‘fede’ fascista, sia negli sbalzi d’umore quando si reincontrano), il padre di Mario, è un pilota dell’aeronautica militare, lasciato da Lucy che non lo ha mai sposato e che non condivide le sue scelte politiche. Lucy, temendo di essere arrestata, affida il bambino ad una famiglia sulle Dolomiti (il lungometraggio ha ricevuto il sostegno di IDM in fase di produzione e una buona parte delle riprese si è svolta in Alto Adige, dove sono state ricreate molte ambientazioni che dovevano essere girate in America, nda) – il che avviene appena in tempo visto che, di lì a poco, verrà arrestata e finirà in un campo di prigionia tedesco.
Mario (interpretato da piccolo da Lorenzo Ciamei e da ragazzino da Jake Donald-Crookes), dopo un primo impatto in cui fa i conti con la mancanza e il senso di abbandono, si integra grazie anche alla presenza di altri bambini e ragazzi; ma a seguito di una rivelazione che sente ascoltando di nascosto, abbandona la famiglia che lo ospita e scende verso Bolzano, dove si unisce a bande di ragazzini anche loro orfani o abbandonati. Proprio in circostanze tecnicamente non positive, mentre cerca rifugio, incontra una dodicenne che si fa chiamare Frank (Sofia D’Elia), orfana di guerra che ha con sé un bambino più piccolo, che non parla e che lei chiama ‘Fratello’. I tre diventano una piccola banda, che sopravvive rubando, arte nella quale Frank eccelle e di cui insegnerà a Mario i segreti.
Non vogliamo rivelarvi troppo in merito a come proseguano le sue vicissitudini… ciò che senz’altro emerge dall’opera di Faenza è uno spartiacque segnato, nel primo caso, dalla guerra e nel secondo dall’America. Lucy si imbarca con Mario per gli Stati Uniti, dove vengono accolti da Edward Ramberg (Edward Holcroft), fratello di Lucy, e dalla moglie Sarah (Elisa Lasowski), che li portano a vivere con sé in Pennsylvania.
In questa seconda parte del lungometraggio e tappa dell’esistenza, sia madre che figlio devono fare i conti con le ferite anche non fisiche della guerra (insidiosa nell’entrare nel profondo) e non si possono ignorare certi sintomi.
Per Mario il passaggio da una vita di vagabondaggi e di pericoli ad una fatta di ordine e serenità è traumatico. Come tutto ciò venga metabolizzato Faenza (co-sceneggiatore insieme a David Gleeson), potendo contare su ottimi attori, lo mostra – talvolta decide di suggerirlo – bene fermandosi in un punto esistenziale nella vita di Capecchi.
Quest’ultimo nel 2007 è stato insignito del Premio Nobel per la Medicina insieme ai colleghi Martin Evans e Oliver Smithies. Oggi, Distinguished Professor presso la School of Medicine dell’Università dello Utah, vive a Salt Lake City, ai piedi di una montagna che gli ricorda quella vicino a Bolzano dove ha vissuto da bambino. Le sue ricerche sulla genetica molecolare si sono rivelate di fondamentale importanza nella lotta contro gravissime malattie, in primo luogo il cancro, e sono attualmente rivolte allo studio delle componenti genetiche dell’ansia.
«La cosa che più mi ha affascinato di questa impresa è stata l’idea di dovermi cimentare con la psicologia di Mario in quell’arco di tempo che va dai 4 agli 11 anni, il periodo che intendevamo raccontare» ha spiegato Faenza aggiungendo: «Come ha potuto quel bambino superare la fame, la povertà, l’abbandono prima della madre e poi del padre? Come è riuscito, partendo da una condizione di vita a dir poco impossibile, ad affrontare il passaggio dall’Italia all’America, da una lingua all’altra, dall’analfabetismo alla scienza?
Partendo da una storia vera, la prima preoccupazione è stata di combinare lo spettacolo con la realtà. Sono stati anni di lavoro accanto a Capecchi, che oggi ha 84 anni, per il quale ricordare il suo passato non è stata una passeggiata. Tornare indietro nel tempo, affrontare momenti drammatici della propria vita, anche se poi accompagnati da molte gioie, comporta uno scavare dentro se stessi che richiede forza e dedizione. Il senso del film è offrire allo spettatore gli stessi momenti di emozione e passione generati in me dall’incontro con la vita di Mario, un’avventura così appassionante che sembra un romanzo. […] Il messaggio è chiaro: se ce l’ha fatta Mario, partendo da una condizione così estrema, allora possiamo farcela anche tutti noi. Basta sapere essere ‘resilienti’, ovvero non darsi vinti mai» (dalle note di regia).
Hill of Vision, dopo l’anteprima mondiale al Bif&st, sarà distribuito nelle sale da Altre Storie.
«Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno né di notte,
né per mare né per terra:
per esempio la guerra».
“Promemoria”, Gianni Rodari
Maria Lucia Tangorra