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Heart of the Sea – Le origini di Moby Dick

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VOTO: 7

Due comandanti per un’odissea marina

Herman Melville c’è, almeno fisicamente. La sua essenza, invece, come abbastanza prevedibile appena abbozzata, viene travolta dalla potenza dei flutti. Heart of the Sea – Le origine di Moby Dick avrebbe potuto essere un vertiginoso gioco d’incastri tra lo storytelling che si fa Spettacolo e la parola scritta che si rende Arte. Ma sarebbe stata necessaria un’altra produzione, un altro regista, un altro momento cinematografico ben differente da quello che stiamo vivendo. Ciò premesso, Ron Howard effettua – trasponendo sul grande schermo, con il conforto opzionale di una stereoscopia che accresce la magnificenza delle immagini, il best seller (un altro?!) “In the Heart of the Sea” di Nathaniel Philbrick – la scelta di campo a lui più congeniale: quella di identificarsi in toto con la figura di Thomas Nickerson (Brendan Gleeson), l’unico ancora in vita dell’equipaggio della Essex, baleniera a caccia di barili d’olio di cetaceo, a poter raccontare la versione dei fatti di una storia incredibile. Herman Melville (Ben Whishaw) ascolta e prende nota. Partorirà il suo celeberrimo “Moby Dick” in seguito, fornendo la propria visione, personale e tormentata, di una vicenda leggendaria. Prima la spettacolarizzazione della Storia, insomma. Per l’Arte ci sarà un tempo più adatto. Il pendolo guidato da Ron Howard prende, inevitabilmente, la direzione del mare, autentico protagonista di Heart of the Sea come suggeriscono le due titolazioni, quella originale e quella italiana. Un Oceano sterminato con le proprie regole, atte a respingere gli invasori. L’Uomo.
Più o meno volontariamente, quello di Ron Howard è un film del tutto dalla parte dell’ecosistema, proprio in giorni in cui si discute febbrilmente del destino ambientale del nostro pianeta. Non casualmente in Heart of the Sea le parti meno interessanti sono quelle ambientate sulla terraferma. L’introduzione delle figure del primo ufficiale Owen Chase (il sempre generoso Chris Hemsworth) e del capitano George Pollard (un incolore, forse per via del lignaggio del suo personaggio, Benjamin Walker) suonano ad alto tasso di retorica, così come l’accennato conflitto di classe tra i due e l’epilogo con gli armatori senza scrupoli pronti a convincere i sopravvissuti a fornire un’altra versione dei fatti allo scopo di non danneggiare i loro commerci. Roba già vista e sentita mille volte, dal sapore stantio per la scontatezza. In mezzo c’è, fortunatamente, il mare. Con tre segmenti narrativi ben definiti a comporre un’epopea che tenta di raggiungere l’Epica riuscendoci pure in qualche frangente. Il viaggio, in teoria necessario a mettere a fuoco le fisionomie morali dei personaggi, li mette al contrario immediatamente a ruvido confronto con le asperità marine. L’incontro/scontro con l’enorme balena bianca, che sarebbe stata ribattezzata Moby Dick da Melville, quasi un magistralmente spettacolare eco-vengeance da parte una fauna stuprata dal cacciatore umano. Non sorprende che in platea si parteggi per il protagonista acquatico. L’ossessione di vendetta che nel capolavoro letterario di Melville infesta l’animo del capitano Achab, qui conosce un curioso transfer, passando di peso sulla possente mole del cetaceo. Vero, unico, mattatore “vivente” del film. Quindi il lunghissimo naufragio, con il mare che da potenziale avventura si tramuta in inesorabile sventura senza fine ed i sopravvissuti costretti a scelte drammatiche. E la regia di Ron Howard si adegua, con l’utilizzo di ravvicinati grandangoli (la straordinaria fotografia, come in Rush, è firmata da Anthony Dod Mantle) che ben esprimono il distacco umano da se stessi. Quasi una sperimentazione visiva sull’abbattimento di ogni limite di resistenza.
Tiriamo le somme. Chi andrà cercando, in Heart of Sea – Le origini di Moby Dick, la certezza di un intrattenimento in versione extra-lusso lo troverà senza particolari problemi. Coloro che invece anelano un imprescindibile saggio sulla negatività della natura umana si leggano o rileggano il fondamentale libro di Melville. Per una volta, buon cinema e alta letteratura possono compendiarsi a vicenda, restando due entità ben separate: un’occasione comunque da sfruttare…

Daniele De Angelis

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