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Hammamet

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VOTO: 7.5

Figli di Craxi

Di nuovo un film di fantasmi, per Gianni Amelio. Dopo la tragica, straziante, storia a sfondo famigliare raccontata ne La tenerezza (2017) stavolta è il turno dell’ectoplasma politico per eccellenza, quel Bettino Craxi defunto da vent’anni nell’esilio di Hammamet in Tunisia e non a caso dimenticato dalla storia italiana non solo politica. Un “rimosso” storico – come ha giustamente affermato Amelio presentando il film – di cui è interessante analizzare le ragioni. Per fare questo il cinema strettamente umanista del regista calabrese sceglie la strada artisticamente più impervia. E del resto non poteva che essere così. Nessuna invettiva contro l’uomo politico Craxi – peraltro mai nominato al fine di portare la sua vicenda ad un livello più universale: nel film è semplicemente Il Presidente, anche se i riferimenti sono più che espliciti – pluricondannato reo di aver condotto la politica nel baratro di un sistema di Potere la cui fame di denaro era insaziabile; ma nemmeno una sorta di beatificazione post-mortem del tutto incongrua, nel segno del classico “si stava meglio quando si stava peggio“. Anche se da Hammamet – questo il titolo assai pregnante dell’opera – traspare una certa nostalgia per una Prima Repubblica dove la politica possedeva le sue regole interne pur degenerando nelle derive illegali scoperchiate da Mani Pulite. Eppure composta da una classe dirigente che sapeva sin troppo bene ciò che faceva, al contrario di quella contemporanea che appare davvero aver scelto quella strada per assoluta mancanza di alternative professionali.
Hammamet trova subito, dunque, la segnaletica di lungometraggio ostico. Questo perché sceglie, con la generosità tipica del proprio autore, l’ardua via del confronto. Una scelta significativamente controcorrente rispetto a tempi di social impazziti e fake news che prevedono solo il bianco ed il nero, cioè la prevalenza degli estremi senza se o ma. Il risultato è un’opera asciutta, fitta di dialoghi, accompagnata da una regia “invisibile” ma in realtà perfettamente studiata inquadratura dopo inquadratura, nella quale Il Presidente (Craxi) di volta in volta attacca e si difende dalle accuse che gli vengono mosse. Hammamet è un film di scontri, di domande che lasciano risposte sospese nell’etere senza fornire verità preconfezionate. La parabola esistenziale del classico Uomo di Potere, accecato dalla propria hybris ha uno sviluppo tanto implacabile quanto facilmente intellegibile, forse a beneficio di coloro, in particolare tra le nuove generazioni, che di Craxi hanno solo senti parlare in maniera vaga. Ma anche di quelli che, per l’appunto, ne hanno volutamente cancellato qualsiasi ricordo dimenticando di essere stati concimati nel medesimo humus. Dal plebiscitario consenso ottenuto nel congresso socialista all’Ansaldo di Milano nel 1989 si passa direttamente al ritiro di Hammamet a fine millennio scorso, dove Craxi trascorrerà, rincorso dagli strali della giustizia italiana, l’ultimo periodo della sua esistenza. Tutto si è compiuto. Dalla gloria e dal potere, di cui si intravedono comunque le prime crepe, all’approssimarsi della fine. I trionfi finiscono in tragedia e quest’ultima degenera progressivamente nella farsa di un paese che ha sempre disperato bisogno di colpevoli da mettere all’indice. A maggior ragione quando l’evidenza parla a sfavore di essi. E tuttavia, non affrontare l’argomento Craxi significherebbe rifiutarsi di comprendere una buona parte della nostra storia. Questo Amelio lo ha compreso benissimo ed è per tale ragione che Hammamet non può che essere considerata un’opera importante e necessaria. Grazie anche all’impressionante performance mimetica di un Pierfrancesco Favino in stato di grazia, a prescindere dal trucco che lo ha reso così somigliante al leader socialista. Favino “diventa” Craxi in ogni piccolo gesto, in ogni scatto di rabbia di fronte a ciò che si para quotidianamente di fronte a lui, in ogni momento di tenerezza con i nipotini ed il resto della famiglia. E noi spettatori lo diventiamo assieme a lui, mettendoci nella scomodissima posizione di giudicare prima l’essere umano che il politico.
Per tali motivi Hammamet, al di là delle sue imperfezioni vagamente didascaliche (vedasi ad esempio la parte pseudo psicoanalitica riguardante Craxi ed il rapporto con il padre), è un’opera che va lasciata sedimentare sottopelle per essere apprezzata nella sua interezza.

Daniele De Angelis

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