Faccia a faccia (con se stesso)
Henry Brogan, un vecchio assassino del governo che cerca di abbandonare la sua carriera, si ritrova a confrontarsi con un clone più giovane di se stesso di nome Junior, che è in grado di prevedere ogni sua mossa. Senza altra scelta, Henry deve scoprire la verità dietro la creazione di Junior e salvarlo dallo stesso oscuro percorso che ha fatto, il tutto mentre combatte contro un sistema corrotto guidato dal suo ex capo Clay Varris, che è deciso a eliminarlo a tutti i costi.
Ora leggendo la sinossi dell’ultima fatica dietro la macchina da presa di Ang Lee dal titolo Gemini Man, nelle sale nostrane dal 10 ottobre con 20th Century Fox, una cosa è certa e riguarda la mancanza di originalità che ne caratterizza le colonne portanti del racconto, che richiamano alla mente dinamiche e one-lines già sviluppate sul grande schermo e rimescolate per l’occasione. Il tal senso, il militare o pseudo tale vittima del fuoco amico incrociato, incastrato a un passo del ritiro dalla scena, crea una sensazione di déjà-vu, destinata ad aumentare se l’avversario di turno è nient’altro che la sua letale fotocopia genetica. Insomma, è come se si incrociasse il DNA drammaturgico di Shooter o delle saghe di Bourne o John Wick con quello di film come Double Impact, Enemy o Legend, laddove l’attore di turno è stato chiamato a sdoppiarsi per impersonificare più personaggi. Anche se calendario alla mano l’idea alla base del plot risale a un ventennio fa e che solo adesso si sia concretizzata non cancella tale sensazione. Darren Lemke l’aveva buttata su carta più di un ventennio fa, tuttavia il film non entrò mai in produzione a causa del lento sviluppo della tecnologia necessaria al progetto. Ed ecco qui la messa in ghiacciaia in attesa di nuovi sviluppi nel campo dei VFX per rendere possibile il ringiovanimento del protagonista. Negli ultimi anni quella tecnologia ha finalmente visto il semaforo verde accendersi dando il via libera alla realizzazione de Il curioso caso di Benjamin Button, Captain America – Il primo Vendicatore e in tempi recenti di The Irishman e dello stesso Gemini Man. Ma alla finecontano i fatti e i fatti dicono che chi va a Roma perde la poltrona come recita un antico detto popolare e la pellicola del cineasta taiwanese ha così accumulato polvere sullo script.
Dove invece il progetto non ha perso nemmeno un centimetro, anzi ha visto quadruplicare il suo valore, è la confezione. Nel 1997, quando a dirigerlo era stato chiamato Tony Scott, suo malgrado il film non avrebbe avuto in dotazione lo stesso bagaglio messo a disposizione di Ang Lee, a cominciare proprio dagli effetti visivi di ringiovanimento per finire con l’utilizzo del 3D Plus e dell’High Frame Rate. Con un simile arsenale alle spalle Gemini Man si è trasformata in un’esperienza visiva straordinariamente efficace, immersiva e coinvolgente, al momento unica nel suo genere. Se poi metti tutto questo al servizio di un cineasta come Ang Lee, allora lo spettacolo cinetico e balistico quantomeno vale il costo del biglietto. Will Smith nei panni di Brogan cinquantenne e ventitreenne diverte e si diverte a spararsi addosso e a darsele di santa ragione nelle scene d’azione (due su tutte la sparatoria con inseguimento in moto tra i palazzi e le vie di Cartagena, il corpo a corpo nel magazzino in Georgia e il combattimento nella cripta), laddove il film offre allo spettatore di turno il meglio di sé.
Francesco Del Grosso