La Roma dell’accoglienza
Sul sito ufficiale di “Liberi Nantes” si legge che quello che l’associazione sportiva, nota per accogliere tra le sue fila rifugiati e richiedenti asilo, si propone di offrire è “un’occasione unica di evasione, di recupero della dignità umana, di ricostruzione personale e dei rapporti di amicizia e di fiducia nel prossimo”. Parole che ben spiegano quali valori possa veicolare lo sport in determinati contesti e che stanno alla base del progetto di Fuoricampo, documentario sulle vite di alcuni ragazzi africani che fanno o hanno fatto parte della squadra di calcio di “Liberi Nantes”. Realizzato dal Collettivo Melkanaa, composto da tredici autori e legato al Master in Cinema del Reale dell’Università degli Studi Roma Tre, Fuoricampo viene distribuito e proiettato in questi giorni nelle sale italiane.
Le vicende raccontate sono quattro, inserite all’interno di una struttura filmica che si rifà allo schieramento di una squadra di calcio, dividendosi in tre capitoli intitolati rispettivamente ATTACCO, CENTROCAMPO e DIFESA. Quattro i giovani africani qui presentati che vivono a Roma, con la speranza che la loro richiesta d’asilo in Italia, dopo essere stata esaminata, venga accolta. I tempi di attesa sono lunghi e i meccanismi della burocrazia sono assai spesso oscuri. Nel mentre, non resta che cercare d’imparare i rudimenti della lingua, prendere parte ad alcuni corsi professionali e continuare a coltivare la propria passione, con la convinzione che un giorno possa diventare addirittura un lavoro: questa passione è quella per il calcio.
Quello che emerge da Fuoricampo è il ritratto di una Roma altra da quella ufficiale, dall’immagine della capitale conosciuta in tutto il mondo, con i suoi monumenti e le sue grandi e magnifiche vie. Una Roma cosmopolita, in cui alcune oasi, come quella coltivata dai volontari di “Liberi Nantes”, sanno offrire riposo e conforto a viaggiatori stremati da navigazioni precarie e grandi spostamenti e cambiamenti. Il calcio, in questa situazione, si rivela non un mero passatempo ma, come evidenziano le parole dell’associazione sopra riportate, un’opportunità di coesione, aggregazione e recupero di un’umanità spesso bistrattata.
“Dentro il campo c’è tutto” dice ad un certo punto uno dei protagonisti del documentario. Ed è vero, nella misura in cui in uno sport di squadra, giocato, tra l’altro, da una compagine di Terza Categoria che non può accedere a classifica o promozioni perché i suoi giocatori non possiedono i documenti necessari, s’intessono legami forti di solidarietà, che si mescolano con aspirazioni di miglioramento e successo che giocoforza rispecchiano quelli che sono i desideri dei giovani africani per l’esistenza fuori dal terreno di gioco. Fuori dal campo, però, non ci sono solo undici avversari da affrontare con il pallone tra i piedi. Fuori ci sono le questure e il loro lavoro, ci sono lunghi periodi d’immobilità ed attesa, c’è la nostalgia di casa e la voglia di costruirsi un futuro lontano da essa senza sapere se ciò sarà possibile.
È il passato che non va e non vuole essere dimenticato, un passato fatto di dolore, separazioni e privazioni, certo, ma con la consapevolezza che la vita è questa, come viene più volte ribadito, e la volontà di voltare pagina che spinge a cercare di edificarsi un domani altrove. Che questo domani, poi, sia nel mondo del calcio, per i ragazzi di Fuoricampo, che raccontano in prima persona le loro storie, con la cinepresa che indugia sui loro volti, è più di un semplice sogno, è aspirazione a quella che potrebbe divenire realtà, pur sapendo che non ci si può precludere altre vie o possibilità e tenendo bene a mento l’obiettivo principale, ossia quello di trovare finalmente pace e tranquillità nelle rispettive vite, indipendentemente dalla professione.
Le file di scarpe e scarpini da calcio che si stendono negli alloggi dei richiedenti asilo rappresentano la trafila delle loro esistenze, divise tra la difficoltosa ricerca del permesso di soggiorno in Italia e l’evasione simboleggiata da uno sport che si fa necessariamente altro in questo contesto, tramutandosi nello specchio in cui si riflette una possibile felicità. E se Fuoricampo ha l’ulteriore merito di dare visibilità non solo a “Liberi Nantes”, ma anche a una splendida realtà di calcio popolare come quella dell’Atletico San Lorenzo, pur chiudendo con un finale forse troppo ambizioso, affidato com’è quasi esclusivamente al suono e alle immagini, non si può ignorare l’urgenza che esprimono documenti del genere, quando ogni giorno, sfogliando il giornale, possiamo imbatterci in notizie terribili come quella del giovane gambiano suicidatosi il 17 ottobre a Castellaneta Marina, nei pressi di Taranto, dopo essersi visto negare la richiesta d’asilo politico. Fuori dal campo le cose devono necessariamente cambiare. Ma inseguendo un pallone e calciandolo verso la porta ce se ne può dimenticare, anche solo per novanta minuti.
Marco Michielis