Identità in bilico
Presentato già durante il 2018 alla Semaine de la Critique del Festival di Cannes nonché successivamente al Trieste Film Festival, proprio grazie a CiakPolska 2019 lo spiazzante film di Agnieszka Smoczyńska, Fuga (Fugue), ha raggiunto anche il pubblico capitolino. Ed è un bene. Perché della succosa edizione svoltasi qualche settimana fa alla Casa del Cinema quella con protagonista la magnetica Gabriela Muskala (già ammirata nel folto cast di 7 Emotions) ha rappresentato senz’altro una delle proposte cinematografiche più conturbanti, forti e strutturate.
Sin dalla primissima scena, inquietante piano-sequenza in cui la macchina da presa con un movimento che potremmo anche definire ab inferis usque ad sidera segue la protagonista, Alicja, in quel suo riemergere dai tunnel della metropolitana almeno sulle prime assurdo e inspiegabile, la cineasta polacca dimostra di saper coniugare brillantemente ricerca formale ed esplorazione del complesso universo interiore dei personaggi. Perché proprio la natura della misteriosa epifania sarà l’oggetto da indagare, in questa sorta di oscuro thriller psicologico che è soprattutto ambigua, a tratti contorta ricerca di un’identità perduta.
Riaffacciatasi in società, anche attraverso il mezzo televisivo, come una specie di “ragazza selvaggia” versione suburbana, la cui vera identità restava in principio avvolta nel mistero assieme ai motivi e alle circostanze di una sparizione durata settimane, mesi, anni, sembrerebbe che Alicja possa finalmente ritrovare una famiglia e quel nucleo ristretto di amici, che si erano interrogati a lungo sulla sua scomparsa. Ma il ricongiungimento si rivela subito problematico: non la fine, bensì l’inizio di una storia spigolosa e sofferta. Poiché recuperare progressivamente frammenti di memoria vorrà dire anche confrontarsi con un passato oltremodo urticante, traumatico, scomodo…
Viaggio in una personalità scissa e nella soffocante realtà famigliare da cui, novella donna selvaggia, Alicja aveva dovuto eclissarsi, Fuga indaga i turbamenti dell’animo umano con una detection di notevole spessore, per quanto offuscata – almeno in alcuni frangenti – da un taglio narrativo eccessivamente ermetico, criptico. Rischio, questo, che valeva comunque la pena prendersi. Ed il ritratto femminile che ne esce fuori, complice anche la bravura dell’attrice protagonista, non può certo lasciare indifferenti.
Stefano Coccia