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Fucking Bornholm

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VOTO: 7,5

C’è del marcio nelle vacanze in Danimarca

Script pungente. Attori che alternano sullo schermo naturalezza e lievi tratti caricaturali. Regia apparentemente dimessa ma in realtà ben focalizzata su ambienti e personaggi. Più uno sguardo tra il complice e il preoccupato sull’odierno evolversi dei rapporti famigliari, di coppia, che coglie la modernità senza indulgere in moralismi di sorta. All’interno di un Concorso Lungometraggi del Trieste Film festival 2023 in cui senz’altro risaltavano titoli più appariscenti, più innovativi magari sul piano dei temi e dl linguaggio cinematografico, un film come Fucking Bornholm della polacca Anna Kazejak rischiava di apparire sacrificato, di non coinvolgere pienamente gli spettatori. E invece, dagli umori in sala, ci è sembrato di capire che per il pubblico triestino non sia stato per niente complicato calarsi nelle peculiari atmosfere di una drammaturgia tanto vicina a determinati contesti sociali, geografici, culturali, quanto universale nell’approccio diegetico.

Cruda nel descrivere il deflagrare di rapporti amorosi e genitoriali, empatica quanto basta per non apparire eccessivamente fredda o “distratta”, Anna Kazejak ha preso a pretesto la trasferta danese di due coppie con figli a carico, intimamente legate tra loro, per raccontare con profonda schiettezza quei nodi che fatalmente vengono al pettine, dal momento in cui un crescente senso di inadeguatezza, le piccole ipocrisie quotidiane e il peso stesso della routine vengono a minare rapporti, che probabilmente avevano cominciato a trascinarsi in modo stanco da troppo tempo. Emergono così prepotentemente dati caratteriali ed elementi di natura sociologica. Dalla crisi di mezz’età cui possono andare incontro certi uomini all’esagerata ansia di prestazione delle madri. E il semplice sospetto di un abuso sessuale che avrebbe subito uno dei ragazzini della comitiva diventa la miccia in grado di far deflagrare tutte le tensioni rimaste a lungo in sospeso.
Ben sostenuto da uno script non banale, uscito fuori dalla collaborazione della regista con lo sceneggiatore Filip Kasperaszek, l’obiettivo della macchina da presa vaga tra atmosfere malsane e disagio, finendo per esaltare brevi momenti di emancipazione, punti di rottura, chiarimenti dolorosi ma necessari. Lo stesso mood farsesco regala battibecchi da antologia. A margine di tutto ciò anche il confronto sottotraccia tra le abitudini dei polacchi in vacanza e il contesto, ovvero la sonnacchiosa isola di Bornholm con le sue ritualità turistiche trite e ritrite, esasperate comunque dalle classiche disavventure da campeggio, fa sì che a sprazzi si affacci anche una divertita satira dell’universo scandinavo, la cui impronta progressista, liberale e perfezionista talora può ugualmente sfiorare il ridicolo.

Stefano Coccia

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