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Francofonia

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VOTO: 7.5

L’identità europea nello sguardo di un ritratto

Era uno dei film più attesi di questa 72esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, e data la vastità del compito che si prefigge e le difficoltà che esso inevitabilmente comporta, il clima di aspettativa intorno a Francofonia del regista russo Alexander Sokurov finisce per risultare totalmente giustificato.
L’ultima volta che Sokurov aveva partecipato alla Mostra del Cinema, nel 2011 con Faust, trasposizione cinematografica dell’opera letteraria goethiana, si era aggiudicato il Leone d’Oro, assieme ad un notevole ampliamento del suo seguito di appassionati, che nelle opere del regista russo riconoscono uno dei pochi esempi di un cinema culturalmente impegnato ed interessato a collaborare con le altre forme d’arte. Ma Faust è un’opera radicalmente diversa dall’ultima fatica di Sokurov, la cui tematica ricorda piuttosto un altro capolavoro del regista, Arca Russa, due ore di piano sequenza che sala dopo sala accompagnano lo spettatore attraverso il museo dell’Ermitage: anche Francofonia si confronta con il tema dell’arte e della storia, ma stavolta lo fa rinunciando ad un impianto coeso e continuo, preferendo una costruzione più frammentaria e giustapposta, motivata dalla maggiore complessità del compito che si prefigge.
Infatti Francofonia non tratta più della produzione artistica tout court, isolata da qualsiasi contesto antropomorfico ed esperita nella sua essenza più pura, ma pone l’uomo al centro della sua trattazione, invitandolo a farsi carico delle sue responsabilità di fronte al tribunale della Bellezza.
L’ultima fatica di Sokurov prende le mosse da un evento storicamente accaduto: l’inaspettata e per questo eccezionale alleanza tra l’ufficiale dell’occupazione nazista, il conte Franziskus Wolff Metternich (Benjamin Utzerath), e il direttore del museo del Louvre Jacques Jaujard (Louis-Do de Lencquesaing), che permise di proteggere molti tesori del museo dall’assalto nazista alla città francese. E così vi è un primo filone del film nel quale vediamo evolversi il rapporto tra queste due personalità, sino ad invertirsi di segno, passando dall’ostilità iniziale, dovuta a differenze di nazionalità, lingua, fisionomia, ad un’inalterabile complicità che ha nell’umana vocazione per la Bellezza la sua condizione d’esistenza.
Ma perché i musei, il loro patrimonio, han da sempre ispirato negli esseri umani, anche in quelli invischiati nella mediocrità degli affari di Stato, un tale riguardo? Perché, sentenzia la voce fuori campo di Sokurov (che anche in quest’occasione, come in Arca Russa, dialoga con i suoi personaggi), “i musei sono la parte più importante di una città”, più degli edifici storici, delle piazze, della strade, e questo perché in un unico ambiente si trovano a conversare secoli e luoghi di cui sarebbe altrimenti impossibile ammirare la compresenza.  L’Europa, e per questo Francofonia  è un film profondamente filo-europeo, ha dimostrato di avere sufficiente umanità per rispondere all’appello (non trascurabile solo perché silenzioso) che l’arte rivolge a ciascun popolo. L’Unione Sovietica, la Polonia, e in generale l’Europa dell’Est, invece, si è rivelata sorda a questa chiamata, forse anche a causa di una certa sottovalutazione che avvolge il bagaglio artistico di questi  paesi.
L’arte non esisterebbe senza gli esseri umani: è nelle loro menti che ha inizio la sua concezione, ed è nei loro arti che risiede la sua unica possibilità di attualizzazione.  Ma una volta che la produzione artistica si staglia di fronte all’umanità, questa non ha più il diritto di rivendicare nei suoi confronti alcun tipo di detenzione, e anzi, deve provare nei confronti di un ritratto la massima gratitudine, poiché vivere non ha alcun senso se non si può conoscere lo sguardo degli uomini che hanno abitato questo mondo prima di noi.  Questa riconoscenza deve dimostrarsi pronta a sacrificare la stessa vita umana per scongiurare la dissoluzione di un patrimonio inestimabile: ecco il significato metaforico di certe sequenze che mostrano una nave carica di opere d’arte solcare un mare in tempesta, mentre il suo capitano Dig tenta invano di comunicare con lo stesso Sokurov tramite una videochiamata continuamente interrotta.
Le sequenze più suggestive di Francofonia, e che finiscono per essere anche quelle più godibili per lo spettatore, sono quelle che vedono i protagonisti di dipinti celebri abbandonare le tele per dar voce ai loro pensieri, espressi per lo più con formule fisse e dall’andatura cantilenante: da una parte Marianne de “La Libertà che guida il popolo” di Eugène Delacroix (Johanna Korthals Altes) appare come irretita nel declamare “Liberté, Égalité, Fraternité, quasi volesse rialzare il suo vessillo, che sembra essere stato irrimediabilmente smarrito, tradito; dall’altra un Napoleone piuttosto buffo (Vincent Nemeth) sembra riconoscere nel Louvre e nei suoi tesori nient’altro che una materializzazione del suo potere, delle sue conquiste, di se stesso (sono in questo senso emblematiche le varie volte in cui si arresta di fronte ad un quadro, non per forza raffigurante la sua persona, assumendo una postura impettita ed esclamando “C’est Moi!”), una tendenza, quella ad asservire l’arte alle esigenze del potere, che è sempre stata innata nell’uomo in quanto è diretta emanazione della sua vanità.

Francofonia è un film complesso e stratificato, più simile ai primi lungometraggi di Sokurov (in particolar modo alle Elegie) rispetto alle ultime uscite, che pur essendo pellicole impegnate presentano una struttura comunque univoca e lineare. E’  probabilmente dovuta a questa varietà di filoni, di stili e di linguaggi la difficoltà che si incontra quando si tenta di ripercorrere le linee generali di Francofonia; che, come parte della produzione sokuroviana (Arca Russa in primis),  finisce per essere un’opera di grande valore autoriale ed artistico, con un messaggio chiaro e che necessita di essere ascoltato, ma che nella sua posa da cinema impegnato sfocia in un didascalismo che, senza il necessario supporto affettivo, rischia di non ottenere l’effetto voluto.

Ginevra Ghini

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